A Hermes piaceva guardare la sua progenie guidare la barca verso casa. La verità è che il ragazzo teneva bene il timone, si sentiva molto orgoglioso di lui. Con che velocità era cresciuto, il tempo era volato, quello non era più il suo piccolo figlio, stava diventando un uomo. La prima volta che lo portò in barca, aveva appena due anni, ricordava la sua andatura incerta e traballante mentre i rimproveri della madre risuonavano ancora nella sua memoria. Quel giorno il piccolo Almice non pianse, rimase sempre seduto al centro della barca con gli occhi spalancati e un enorme sorriso inciso sul viso mentre contemplava il mare intorno a lui. Hermes fece un passo indietro nei ricordi, fino al giorno in cui lui stesso aveva avuto il suo primo contatto con il mare, aveva sei o sette anni e suo fratello maggiore era malato, quindi suo padre lo prese per le spalle e gli disse che anche lui era un uomo e avrebbe dovuto prendere il posto di suo fratello nella barca per alcuni giorni; non ne aveva mai calpestata una prima, ma da allora non si era mai più separato dal mare; lo affascinava proprio come ora poteva osservare lo stesso inebriante incantesimo negli occhi di Almice, anche se durante la sua vita non tutte erano state gioie. Aveva circa quindici anni quando i marinai siriani gli confiscarono i frutti di una lunga giornata di lavoro; poi requisirono le reti e picchiarono lui e suo padre. Fu un miracolo che quegli uomini non li avessero catturati per portarli lontano dalla loro casa. Da allora, ogni volta che vedeva una nave sconosciuta, cercava di cambiare rotta, anche se in modo impercettibile. La sua memoria volò fino a ricordare l'ultima nave sconosciuta, avvistata all'alba.
«A cosa pensate, padre?» Hermes restava assorto, con lo sguardo perso all'orizzonte.
«Perché pensi che la trireme che abbiamo visto all'alba sia passata così vicino all'isola?» rispose il suo progenitore tornando al presente.
«Non lo so. Potrebbero portare truppe sull'isola di Kos o inseguire uno schiavo fuggito.» Il padre annuì e alzò lo sguardo verso la costa.
«Beh, ormai siamo vicini, è meglio che mi passi il timone.» Almice obbedì con riluttanza. La costa dell'isola di Samos nella sua parte orientale era piuttosto accidentata. Alcuni scogli spuntavano molto vicini alla superficie ed era facile danneggiare la barca.
Pini, lecci e tamarindi si mescolavano molto vicino alla riva, lasciando alcune radure sulla costa. Doppiarono una piccola penisola e si diressero verso un'incantevole piccola baia con acqua cristallina. La casa dei Teópulos, la sua casa, era già visibile da lì. Sebbene un po' elevata sopra il mare, era vicino al piccolo molo; a circa cento passi di distanza, calcolò Almice. La maggior parte dei pescatori viveva vicino alla grande insenatura, dietro una piccola e pietrosa collina; ma suo padre e un altro pescatore, Andreas, che aveva la casa proprio ai piedi della collina, avevano deciso di costruire un molo nella caletta perché in quel modo l'attrezzatura era più a portata di mano e non dovevano dare tante spiegazioni ai loro vicini. L'unica che a volte si lamentava era sua madre, per la quale l'acqua del torrente era un po' più lontana rispetto alle donne della grande insenatura.
«Preparati a legare la cima al molo.» Almice annuì, avanzò a prua tenendo sollevate le pieghe della veste per evitare di inciampare e afferrò la cima mentre si preparava a saltare a terra.
Con un balzo, il ragazzo raggiunse la banchina precaria e tese la fune. In un attimo la barca fu ben ormeggiata, accanto a quella del suo vicino.
«Ben fatto, figliolo» approvò il padre. «Ora raccogli tutte le cime e piega bene la vela mentre prendo il pesce. Domani, approfittando del fatto che il tempo peggiorerà e che non saremo in grado di salpare, puliremo la barca a fondo. Non ingarbugliarle troppo che è già mezzogiorno e non ci vorrà molto per mangiare.» Afferrò i due cesti di pesce e si diresse alla spiaggia.
Almice restò a raccogliere con cura la vela rattoppata, legandola saldamente al boma. Quindi si preparò a raccogliere alcune cime sparse sul ponte. Prese le estremità e cominciò ad avvolgerle a spirale su sé stesse, come gli aveva insegnato suo padre, evitando così che si impigliassero tra i piedi durante gli incroci. Stava finendo di raccogliere l'ultima quando sentì suo padre chiamarlo dalla spiaggia.
«Almice, vieni, corri!»
Il ragazzo si alzò e vide che suo padre era a metà strada verso casa, accovacciato su ciò che, nonostante godesse di una vista perfetta, identificò come dei fagotti sulla riva; aveva messo da parte i cesti e gli faceva segnali vigorosi agitando un braccio perché si sbrigasse. Almice lasciò l'ultima cima mezzo arrotolata e corse via a piedi nudi verso la spiaggia. Mentre si avvicinava a suo padre, i fagotti sul terreno erano più simili a sagome umane. Quando arrivò accanto ad essi, si rivelarono due uomini inzuppati e martoriati nella sabbia con mezzo corpo ancora nell'acqua.
«Vieni, figlio mio, aiutami a tirarli fuori dall'acqua.» Suo padre stava cercando di girare uno degli uomini in modo che non inghiottisse altra acqua.
«Padre, pesa troppo» si lamentò Almice mentre cercava di spostare il corpo più vicino. Calcolò che doveva essere pesante come il vecchio padrone della taverna del villaggio, che aveva la pancia piena di birra.
«Non preoccuparti, figliolo, lo sto tirando fuori.» Aveva appena lasciato il primo uomo, il più magro, un po' più in alto, sdraiato sulla sabbia asciutta, e afferrò il secondo uomo con l'altro braccio. Padre e figlio tirarono forte e dopo diversi tentativi riuscirono anche a tirarlo fuori dall'acqua.
Almice guardava, tra sorpreso e nervoso, i due naufraghi mentre il padre li esaminava attentamente e li posizionava su un fianco in modo da che potessero sputare l'acqua deglutita. Gli abiti erano molto diversi dai loro, quegli uomini indossavano tuniche di un intenso colore viola, lacerate dagli strapiombi della costa; e sebbene non sembrassero greci per il loro aspetto, Almice non riuscì a identificare da dove venissero, anche se non aveva molte opportunità di vedere degli stranieri nel villaggio.
«Vai a chiamare tua madre per darmi una mano. Poi porta le tue sorelle sulla barca per finire di raccogliere le reti rovinate e ripararle; nel frattempo io e tua madre li asciugheremo e li porteremo a casa, poi verremo a cercarvi per mangiare. Chiedile anche di portare un po' d'acqua e vestiti asciutti.» Hermes sollecitò suo figlio con la mano e Almice obbedì correndo verso la casa.
Almice spinse con forza la porta socchiusa ed entrò precipitosamente in casa.
«Ciao mamma!» esclamò ansimando mentre la cercava con gli occhi.
«Ciao, figliolo, cosa succede? Perché arrivi senza fiato?» Seduta vicino alla finestra, sbucciava le cipolle che teneva in grembo per preparare il pasto. Il suo viso, segnato selvaggiamente dal vaiolo e da un'infanzia difficile, rivelava stupore per l'arrivo così precipitoso del figlio.
«Buon compleanno!» esclamò Janira, la sorellina di Almice, che aveva solo quattro anni, aggrappandosi stretta ai suoi fianchi mentre faceva piccoli salti per arrivare a baciarlo sul viso.
«Grazie» rispose suo fratello accarezzandole i capelli. «Mamma, abbiamo trovato due uomini mezzi affogati sulla spiaggia e nostro padre dice di venire con acqua e vestiti asciutti» rispose a sua madre con una voce ancora in affanno per la corsa, mentre sorrideva alla sorellina.
«Vado subito, prenditi cura di tua sorella, che le altre due sono andate nella grotta per giocare.» Non poté impedire a due cipolle di cadere a terra mentre si alzava di scatto. Non potevano in alcun modo stare tranquilli a casa, la donna si lamentava con sé stessa, c'erano sempre eventi che alteravano la tranquillità della sua famiglia.
«Te le raccolgo io» si offrì Almice. «Mio padre ha detto di riparare le reti e che verrete a cercarci più tardi, quindi