Xisco Bonilla
SAMOS
Rotta per la Libertà
Tradotto da Valeria Brigante
© 2021 - Francisco Bonilla Garriga
SAMOS
Prima edizione italiana: anno 2021
Prima edizione spagnola: anno 2017
Autore: Xisco Bonilla
(C) dall'opera Francisco Bonilla Garriga
Traduzione italiana: Valeria Bragante
Editoriale: Tektime
Design della copertina: Francisco Bonilla Garriga
Sarà consentita la riproduzione totale o parziale di questo libro, né la sua incorporazione in un sistema informatico, né la sua trasmissione in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, sia elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altri metodi. senza la preventiva autorizzazione scritta dell'autore. La violazione dei suddetti diritti può costituire reato contro la proprietà intellettuale (Art. 270 e seguenti del Codice Penale spagnolo).
A mia moglie, Marina, la migliore compagna e amica con cui godersi questo viaggio ricco che è la vita, e alle mie figlie, Ana e Marta, che con il loro incondizionato sostegno hanno reso possibile questo libro.
Un ringraziamento speciale alla traduttrice italiana, Valeria Bragante, per il suo grande impegno e dedizione nel tradurre questo romanzo in una lingua bella come l'italiano.
1 I
«Svegliati!» udì Magone tra un'anarchia di urla e rumori che lo strapparono dal suo sonno profondo. «Svegliati subito!» Riconobbe la voce angosciata del suo compagno e riuscì a sollevare le palpebre.
«Che succede? Perché così tanto clamore?» chiese mentre si strofinava gli occhi.
«I romani! Ci hanno scoperti e stanno per raggiungerci.»
Magone, confuso, guardò assonnato il suo interlocutore, come se non avesse capito il significato delle ultime parole. E poi, con un sussulto, notò il trambusto intorno. La stiva della nave era un andirivieni di uomini. Si preparò a sedersi, ma una forte scossa lo gettò a terra.
Non sapeva dire se fosse passato molto tempo dall'incidente, forse era solo un momento, ma giaceva a terra, tutto immerso in una miscela di acqua salata, urina e feci dalla sentina. Sentì la testa dolorante e riaprì gli occhi. Tutto era buio e il forte mormorio dell'acqua gli indicò l'esistenza di un'importante breccia nello scafo della nave. Cercò inutilmente la luce dei luminari e si rese immediatamente conto che con il colpo erano caduti e dovevano già essere stati sommersi. Aguzzò gli occhi cercando l'apertura attraverso la quale si accedeva in coperta, la stessa voce che lo aveva svegliato lo chiamò di nuovo.
«Sei lì, Magone?»
«Qui, Ascipo!» Allungò una mano verso il punto da cui proveniva la voce, finché non raggiunse il braccio del suo compagno. «Ci hanno speronato, dobbiamo salire sul ponte.»
«Penso di essermi rotto una gamba» rispose Ascipo. «Tu vai, la nave è persa.»
«Assolutamente no» ribadì Magone mentre si alzava dolorante. Si avvicinò a tentoni al suo compagno e lo aiutò a rialzarsi. «Ci siamo incagliati? Siamo vicini alla costa?» Magone riuscì a chiedere mentre guidava il suo amico sul ponte.
«No, siamo ancora in alto mare.» Ascipo fece una breve pausa per riposare. Il dolore alla gamba era insopportabile. «Quando sono sceso, avevamo una nave romana diretta verso di noi. Ci hanno appena speronato con il loro ariete ed è una fortuna che non ci abbiano affondato.»
Alla fine, raggiunsero la scala ridotta che accedeva in coperta. Magone si sporse per chiedere aiuto, ma davanti a lui un disordinato alveare di marinai e soldati si preparava a difendersi dagli aggressori con tutto ciò che avevano a portata di mano. Vide un volto familiare, Utibaal di Lixus lo superò e si prestò ad aiutarlo. Entrambi tirarono Ascipo che, sfinito dallo sforzo, si sedette per osservare la ferita.
«Sei stato fortunato» Magone provò a tirarlo su di morale. «Non credo tu abbia qualcosa di rotto, sembra che qualche pezzo di legno abbia fatto una bistecca con la tua coscia.»
«Da forza! Andiamo!» li interruppe Utibaal. La faccia del mercante, grassa e sudata, sembrava sul punto di esplodere. «I romani ritornano!» esclamò mentre indicava con il braccio teso verso il porto.
Magone si alzò a sedere e aguzzò gli occhi in quella direzione. Era ancora notte, ma la luna illuminava un cielo abbastanza sereno da indovinare la sagoma della trireme romana, che si delineava lugubre sul mare nero. I muscoli di Magone si irrigidirono e una fitta di angoscia attraversò il suo corpo mentre riconosceva le vele di coloro che avevano già ucciso sua moglie e i suoi figli a Siracusa. I loro persecutori non volevano affondarli, volevano salire a bordo.
«Dai, Ascipo.» Aiutò il suo amico ad alzarsi. «Alzati, dobbiamo saltare.»
I tre uomini retrocessero fino al bordo di dritta e Magone guardò indietro per un momento per confermare i suoi oscuri presentimenti. La trireme romana manovrava per abbordare la nave sfortunata e catturare i suoi occupanti come schiavi. Afferrò il braccio di Ascipo e guardò le acque nere implorando il suo dio, Eshmun, di tenerli al sicuro nel suo regno.
La vela latina, a babordo, fiammeggiava leggermente tra i mormorii prodotti dalle onde capricciose che si rompevano contro lo scafo di legno e ricadevano, trasformandosi in schiuma, sul vasto mantello blu che li circondava.
«Attenzione! Se lo scorpione ti punge, potresti non goderti i tuoi dieci anni» disse Hermes a suo figlio. Il pesce rossastro saltava con energia sul ponte con le branchie aperte e le spine cariche di veleno doloroso, irte per difendersi. Almice ritirò il piede nudo appena in tempo.
«Mi dispiace, padre» rispose il giovane mentre le mani abbronzate del marinaio cercavano la preda armate di un bastone di legno tamarindo appuntito e infilzavano il pesce pericoloso mettendolo in un cesto di canapa consunto.
«Quando raccogli le reti, devi stare attento, è già successo altre volte e un giorno puoi prendere un bello spavento» lo istruì affettuosamente suo padre. «Una sua puntura può essere mortale. Ricordati del vecchio Aristofane, che non è arrivato vivo a terra l'anno scorso, dipende solo dalla quantità di veleno che ricevi.»
«Avete ragione, padre» cercò di scusarsi Almice, «ma sapete che ciò che mi piacerebbe di più è essere un soldato e quindi poter viaggiare e conoscere nuovi luoghi.»
«Adoro la fresca brezza del mattino» rispose Hermes, cambiando argomento, come se non avesse sentito le parole irrazionali del suo piccolo. «Non sai quanto siamo fortunati a vivere al mare» il pescatore abbronzato, già trentenne, gli parlava teneramente mentre navigava verso la costa. Con una mano teneva saldamente la barra del timone mentre con l'altra giocava con le scotte per mantenere la vela gonfia nel vento. «La sensazione che gli schizzi del mare lasciano sul mio viso quando tagliamo le onde vale tutti gli sforzi che facciamo. Nessuna avventura ti renderà più felice, figlio mio; inoltre, il lavoro di un soldato è molto ingrato, non c'è felicità né merito nel togliere la vita ad un altro essere umano.»
«Può darsi, ma mi piacerebbe conoscere altri posti e non vedo come riuscirci in altro modo, anche se mi piace pescare» aggiunse Almice rassegnato. «E mi piace anche navigare, soprattutto quando il vento ci spinge veloce, quando inclina la barca così tanto che con la mano tocchiamo l'acqua senza sforzo.»
«Hai ragione, Almice; ma non dirlo a tua madre, sai che non le piace che giochiamo con ciò che ci nutre.» Il padre sorrideva soddisfatto mentre guardava suo figlio mettere il resto del pesce nelle ceste di vimini sul fondo della barca calafatato mille volte con diversi tipi di legno che formavano un mosaico irregolare che si ripeteva in tutta l'imbarcazione. Gli aveva insegnato bene, era sicuro che se sua moglie glielo avesse consentito, avrebbe già potuto pescare da solo. «Dai, prendi la barra per un po', che non compi dieci anni ogni giorno e devi festeggiare, vedrai la cena che tua madre ti preparerà stasera.»
Almice