Ndura. Figlio Della Giungla. Javier Salazar Calle. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Javier Salazar Calle
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Серия:
Жанр произведения: Приключения: прочее
Год издания: 0
isbn: 9788835431589
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questa sfida indesiderata che mi si presentava inevitabilmente! Con loro sarebbe stato più facile, addirittura un'avventura da raccontare al ritorno; ma erano morti, assassinati, sterminati come mosche volgari senza pietà, annientati nel fiore della vita... e io dovevo sopravvivere in un modo o nell’altro. Bastardi, figli di...! Tranquillo, Javier, tranquillo, dovevo cercare di mantenere la calma, era la mia unica opzione se volevo avere qualche possibilità. Bene, il sole sarebbe dovuto sorgere a est e tramontare a ovest, quindi se aveva albeggiato più o meno da quel lato... sarei dovuto andare in quella direzione. Se con quel sistema di orientamento fossi arrivato da qualche parte non sarebbe stata abilità, ma un miracolo. Comunque, per essere sicuro, scalai con attenzione uno degli alberi più alti che riuscii a vedere.

       Fu facile, poiché aveva molti rami da usare come scale, anche se più in alto salivo più erano piccoli e flessibili, quindi feci molta attenzione ad appoggiare i piedi proprio sulla base dei rami, che era la parte più ampia e resistente. Spuntava sopra la maggior parte degli alberi e, quando raggiunsi quasi il punto più alto, il panorama era scioccante. Un mare verde si stendeva in tutte le direzioni come un tappeto, salendo e scendendo, seguendo il contorno della terra, imitando le onde, una vasta distesa di vita. Solo alcuni alberi solitari molto più alti degli altri spiccavano nell'immensità di quell'arazzo, formato dalla chioma delle cime infinite della giungla. Non vedevo altro che le cime degli alberi in tutte le direzioni, senza fine. Anche con l'aiuto del binocolo non si vedeva nulla da nessuna parte. La verità è che questo non mi aiutava troppo nella mia ricerca della direzione da seguire. Scesi dall'albero e nascosi lo zaino di Juan, con tutto ciò che rimaneva in esso, seppellendolo per metà sotto un tronco caduto. All'ultimo momento decisi di tenere la giraffa per Elena, se mai l'avessi rivista, volevo avere un regalo per lei. Diedi un'ultima occhiata in giro per controllare che non restassero chiari segni della mia presenza e, quando ero mediamente convinto, iniziai a camminare senza troppe speranze. Quanto avevo bisogno dei miei amici!

       Durante la marcia incontrai alcuni uccelli colorati con suggestivi petti rossi e il resto del corpo verdastro6. Volteggiavano in uno stormo di circa dodici o quindici tra i rami degli alberi con incredibile agilità. Non appena feci un po’ di rumore scomparvero dalla mia vista in un batter d'occhio. Solo quegli splendidi animali mi fecero uscire per un momento della opprimente sensazione di solitudine con cui la giungla mi colpiva implacabilmente, un mondo opprimente, ostile, spietato, nell'oscurità permanente in cui il peso, lo sconforto o il soffocamento non erano altro che abituali compagni di viaggio.

       Il percorso era difficile. Dovevo costantemente aggirare o saltare ostacoli. A volte c'erano delle piccole radure, ma le costeggiavo per paura di risultare troppo visibile. Sudavo senza sosta e avevo molta sete, ma non volevo bere un'altra lattina perché ne restavano solo tre. Dovevano essere circa 25º con un'umidità molto elevata, il che accentuava la sensazione di oppressione e calore. Per un po' mi tolsi la maglietta, ma venni punto da così tante zanzare che dovetti rimettermela. A volte il bosco diventava troppo fitto e dovevo farmi strada con un bastone che avevo raccolto e usato come macete. In quei casi, praticamente non avanzavo, poiché con il bastone il massimo che riuscivo a fare era rimuovere i rami dal sentiero mentre passavo, non tagliarli. Inoltre, avevo la parte inferiore delle gambe e gli avambracci pieni di ferite causate dallo sfregamento delle piante in quelle zone in cui i vestiti non mi coprivano. Perfino il viso mi pizzicava in diversi punti, segno che mi ero tagliato anche lì.

       A volte il terreno era pieno di rami o tronchi abbattuti, altre volte era morbido, coperto di foglie cadute, e dovevo stare attento a non torcere la caviglia in un buco o scivolare, perché sarebbe stato fatale. In alcune zone le cime degli alberi erano così vicine da impedire il passaggio della luce, creando atmosfere di chiaroscuro, sicuramente cupe; oppure formavano diversi piani di luci di diverse tonalità a seconda delle altezze. In quelle zone passavo spaventato perché avevo l'impressione di essere costantemente attaccato da fantasmi, che in realtà erano i rami più alti degli alberi che si muovevano al suono del vento, che doveva essere sul tetto verde della giungla e che, per inciso, faceva si che si producesse un terribile urlo perenne che ti perseguitava da tutte le parti. Più volte la giungla si addensava così tanto che era assolutamente impraticabile e dovevo fare lunghe deviazioni per andare avanti. Non avevo mai creduto che così tante piante diverse potessero vivere assieme. Non vedevo più il romanticismo di camminare nella giungla come gli esploratori, inoltre, volevo uscire da quel luogo il prima possibile. Infine, dato che stavo facendo molto rumore, mi tremava il cuore pensando che, se mi avessero seguito, sarebbe stato molto facile localizzarmi.

       Proprio come durante la notte, c'era un suono incessante in tutte le direzioni, non era lo stesso rumore, però si sentiva anche il ronzio degli insetti, strani canti di uccelli nelle cime degli alberi e alcune urla che supponevo provenissero da delle scimmie o qualcosa del genere. Almeno non si sentivano i ruggiti inquietanti, dovevano essere stati di un cacciatore notturno, o almeno così volevo credere. Per quanto potessi vedere, non vedevo molti animali, ma potevo sentirli tutti.

       Guardai l'ora sul mio orologio. Erano le dieci del mattino. Camminavo da un'ora e non ne potevo più. Il ginocchio aveva già iniziato a inviare segnali di avvertimento, lo sentivo un po' gonfio. Più volte i legamenti o qualunque cosa fossero mi si erano accavallati e avevo dovuto rimetterli a posto con la mano, massaggiandoli delicatamente ma con fermezza. Mi sedetti per terra a riposare un po', appoggiato a un tronco di un albero molto alto e ci strofinai le mani. Il caldo mi fornì un po’ di sollievo. Ero in una zona abbastanza libera. Dopo un po’ di tempo che stavo seduto, vidi sul ramo di un albero di fronte a me un uccello simile a un pappagallo con un piumaggio bluastro opaco, l'unica nota di colore era il rosso della sua coda, con un alone bianco intorno agli occhi, il becco nero ed emetteva strilli quasi umani7. Girava la testa praticamente in tutte le direzioni, senza muovere il resto del corpo, ricordandomi la ragazza dell'esorcista. Si avvicinò dondolandosi a un frutto dell’albero e cominciò a beccarlo. Il frutto era di colore rosso-arancio, delle dimensioni di una mano e di forma simile a una zucca.

      “Sicuro che sai dove sei”, dissi tra me e me, “sicuro.”

       Rimasi quasi mezz'ora a riposare, dopodiché ricominciai a camminare. Ogni volta che costeggiavo una radura e dovevo riprendere la direzione presumibilmente corretta, mi convincevo sempre di più che sarei potuto rimanere a girare per anni senza accorgermene. Mi sembrava tutto uguale e il sole non mi era già più di grande aiuto. Guardavo quanto era alto, lo confrontavo con l'ora dell’orologio e arrivavo alla conclusione che non avevo idea di cosa stessi facendo. Continuai con lo stesso ritmo tutta la mattina, camminavo un'ora e mi riposavo per un po'. Nei momenti di riposo leggevo il frasario in swahili o il diario di viaggio per intrattenere la mia mente con qualcosa, magari mi sarebbe servito per comunicare con qualcuno in un ipotetico incontro. Ogni volta era più faticoso alzarsi e continuare, il mio ginocchio mi faceva zoppicare e verso le due del pomeriggio caddi arreso.

       Era tutta colpa mia, avevo trascinato i miei amici in questo posto infernale, per colpa mia erano morti. Se li avessi ascoltati saremmo stati di ritorno dall'Italia con tantissime foto di Venezia e qualche cartolina della Toscana. Colpa mia, era tutta colpa mia.

       Ero assetato e il mio stomaco ruggiva ininterrottamente. Mi trovavo di fronte a un dilemma: mangiare per recuperare le forze o risparmiare, data la scarsità di cibo che avevo, rischiando che mi succedesse qualcosa? Si supponeva che avere cibo e acqua in una giungla fosse facile, o almeno così pensavo in quel momento, ed ero molto affamato, quindi optai per bere una lattina di soda e mangiare i biscotti rosicchiati, allontanando le formiche soffiando, e il panino. Alleviai un po' il mio appetito tenace. Tenni le mele cotogne pensando che ci avrebbero messo più tempo per rovinarsi. Poi mi addormentai per la stanchezza e perché non ero riuscito a dormire la sera prima.

       Quando mi svegliai sentii un suono sibilante molto vicino. Doveva esserci un serpente accanto a me. Rimasi immobile cercando di affinare l’udito per scoprire dove potesse essere. La paura mi attanagliò lo stomaco e divenne faticoso respirare. Una volta avevo visto un documentario sui serpenti chiamato "I serpenti dei tre passi", perché quando ti mordevano ti davano il tempo di fare solo tre passi prima di morire. Questo in fondo non era male considerata la situazione, ma se fossi stato morso da un serpente che mi avrebbe fatto agonizzare