“Il secondo figlio era suo?”
Slim rise. “Certo che no. Non ci vedevamo da anni. Presumo che fosse del macellaio, come il resto dei miei averi allora.”
“Oh, è terribile.” Emma gli stava accarezzando la coscia, ma Slim, con le mani ancora affondate nelle tasche, la ignorò. Al contrario, alzò le spalle. “Sono cose che succedono.” disse.
“Dev’essere stato straziante.”
Slim chiuse gli occhi per un secondo, ricordando il paio di stivali sulla sabbia. “Ho visto di peggio,” rispose.
Emma restò in silenzio per un momento, imbronciata, fissando il sentiero, mentre con mani continuava a fare su e giù per la coscia di Slim, come per riscaldarsi.
“Posso farle una domanda personale?” disse Slim.
“Quanto personale?”
“Questa sarebbe la prima amante di Ted?”
Emma ritirò la mano, colta alla sprovvista. “Ehm, beh, credo di sì. Insomma, non ne sono sicura, ma è sempre stato un buon marito.”
“E lei?”
“Io cosa?”
“Mi scuso per la domanda, Signora Douglas, ma, lei è stata una buona moglie?”
Emma si allontanò da lui. Il posto vacante tra i due sulla panchina iniziò a fissare Slim come un bambino dagli occhi spalancati.
“E questo cosa c’entra?” Emma si alzò in piedi e indietreggiò. “Senta, Signor Hardy, penso sia l’ora di sciogliere il nostro contratto. Non mi ha fornito informazioni rilevanti e adesso mi pone questo genere di domande. Non sono una moglie trascurata che lei può—”
“Ted ha mai mostrato interesse nell’occulto?” intervenne Slim.
Emma lo fissò, con la bocca aperta, e scossò la testa. “Non avrei mai dovuto assumerla,” disse, perdendo il controllo. “Scoprirò da sola cosa sta succedendo.”
Senza dire altro, se ne andò, lasciando Slim da solo, seduto sulla panchina, ad accarezzarsi la coscia tiepida dove lei aveva posato le mani.
11
Non avendo idee migliori, Slim si recò in biblioteca per consultare un’antologia di Shakespeare. Un’ora dopo, si ritrovò al front desk, sotto lo sguardo altezzoso dell’impiegato aspirante scrittore, per restituire il libro — utile come la forchetta per il brodo — ed al suo posto affittare alcuni DVD della biblioteca.
Giovedì sera, dopo due giorni di maratona, era riuscito a guardare tutti i film di cui era a conoscenza, e un paio che neppure conosceva. Alcuni aspetti della trama, persino su uno schermo, non avevano poi così senso; ma se Ted aveva speso gli anni formativi assorto fra opere come Amleto e Macbeth, non era difficile capire da dove fosse nato il suo interesse per l’occulto.
Ubriacatosi con del vino scadente, Slim si addormentò nella scena finale Romeo e Giulietta, svegliandosi con lo squillare del telefono e trovando i due protagonisti morti, tra i titoli di coda.
Non fu così veloce da riuscire a rispondere, e non lasciarono nessun messaggio in segreteria. Il numero era sconosciuto, così non si scomodò a richiamare. Probabilmente era Skype o qualche altro call-center.
Si risedette sulla sedia, pensando a come procedere. Arthur era la pista migliore; il capo della polizia a cui piaceva parlare aveva altro da dire, e poteva fornirgli dettagli dall’interno.
Ma dove sarebbe andato a finire? Era stato assunto per provare l’eventuale infedeltà di un ricco consulente finanziario e si era ritrovato a dissotterrare i dettagli di un vecchio caso irrisolto, così come gli altri ad esso collegati.
Non lo pagavano per questo. Era meglio lasciar perdere e dimenticare. Aveva un affitto da pagare. Non poteva permettersi un tale fuori programma.
Tuttavia, lo stesso impulso che l’aveva fatto arruolare molti anni fa lo stava tirando a sé. Il bisogno di avventura, di esotismo; era irresistibile.
12
Venerdì mattina, i postumi della sbornia erano i peggiori che avesse conosciuto nelle ultime settimane; fissò le due bottiglie di vino vuote nella spazzatura e decise di provare a riprendersi con l’aiuto una frittura del bar all’angolo della strada.
Ted sarebbe andato di nuovo alla spiaggia quel pomeriggio, ma a quale scopo seguirlo? Era sempre il medesimo rituale. In ogni caso, Emma l’aveva licenziato. Non aveva più alcun senso.
Stava camminando verso casa, quando il cellulare squillò. Era Kay Skelton, il suo amico traduttore.
“Slim? Ho provato a chiamarti ieri sera. Possiamo vederci?”
“Ora?”
“Sì, se possibile.”
Il senso di urgenza nella voce di Kay convinse Slim. Disse a Kay di dirigersi verso un pub a qualche minuto dal bar dov’era stato. Nel tempo che avrebbe impiegato ad arrivare là, avrebbero aperto.
Venti minuti dopo, incontrò il barista nell’intento di aprire la saracinesca e accendere le luci. Si trattenne dall’iniziare a bere, optando per una tazza di caffè, che prese e portò in un angolo buio del locale, dove occupò un divanetto, aspettando Kay.
Il traduttore si presentò mezz’ora dopo. Slim era al terzo caffè, e lo schieramento di bottiglie di whiskey oltre il bancone minacciava di sfondare la sua difesa.
Slim non vedeva Kay di persona dai tempi dell’esercito. L’esperto linguistico, che adesso si limitava al lavorare come traduttore di documenti stranieri per uno studio legale, si era ammorbidito e aveva preso su dei chili. Aveva l’aspetto di chi mangiava troppo bene e non beveva abbastanza.
Slim era ancora l’unico cliente e Kay lo avvistò facilmente. Ordinò un doppio brandy al barista e si sedette sul lato opposto del divanetto.
Si diedero la mano. Entrambi mentirono sull’aspetto dell’altro. Kay offrì un drink a Slim, che lui rifiutò. Poi, con un sospiro, come se fosse l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, Kay tirò fuori un documento dalla borsa che aveva con sé e lo appoggiò sul tavolo.
“Ho commesso un errore,” disse.
“Cosa?”
“Questa è la trascrizione. Ho ricontrollato la traduzione e, anche se il contenuto è corretto, ho sbagliato in un punto.”
Kay estrasse una pagina del documento. Un cerchio rosso evidenziava una sezione di testo scritta a malamente a mano, che Slim immaginò fosse in latino.
“Questa parte. Il tuo uomo sta dicendo a qualcosa di tornare indietro, che deve tornare a casa. Ma non da lui.” Kay indicò una parola così illeggibile che Slim non provò nemmeno a decifrarla. “Ecco. Non ‘vieni’, ma ‘vai’.”
“Andare via?”
Kay annuì. “Qualunque cosa il tuo uomo tema, è già qui.”
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