Milioni di voci rispondono:—No.
Ebbene, io non son qui per sostenere l'affermazione. Io son venuto—poichè suppongo che nella classe in cui vivete v'accada più sovente di udir la seconda risposta che la prima—son venuto a dirvi:—Non accettate la risposta che vi suggeriscono: cercatela voi stessi;—son venuto a combattere le ragioni di coloro che vi voglion distogliere dal cercarla perchè accettiate a occhi chiusi la loro.
Queste ragioni son parecchie e assai diverse, e credo che a pochi tra voi non sia già occorso di udirle tutte.
La più ovvia è questa. Vi dicono:—Raccoglietevi nei vostri studi, pensate a diventar nella vostra professione valenti ed utili, e avrete compiuto il vostro dovere verso la società; pensino altri a raddrizzare il mondo.—Non date retta a costoro. Non è più onestamente possibile di restringersi a servire la società solo quel tanto che è necessario per provvedere ai nostri interessi. Le condizioni del tempo in cui viviamo son così fatte che convien correggere la definizione antica dell'uomo onesto, e dire che per essere tale non basta più ad alcuno neppur l'esercizio delle più elette virtù private, se egli chiude l'orecchio e il cuore al grido dei dolori umani, s'egli non s'adopera direttamente per la rigenerazione dei suoi simili e per il trionfo della giustizia, se non volge almeno una parte della propria operosità a cercare coscienziosamente al servizio di qual dottrina sociale, per il bene di tutti, debba impiegare le sue forze. E non badate neppure a chi vi consiglia l'astensione, dicendo che v'occuperete della quistione sociale più tardi, perchè quelli stessi che vi dicono ora:—Attenetevi ai vostri studi—vi diranno allora:—Attenetevi ai vostri affari,—e vi vorranno relegare nella fortezza della casa e dell'ufficio come ora vi vogliono chiudere nel santuario della letteratura e della scienza. Occupatevi ora di quella quistione, ora che avete l'intelletto e l'animo aperto a tutte le grandi idee, ora che potete esperimentare in voi la verità di quello che un economista dottissimo disse: che l'intelligenza della scienza sociale procede dal cuore anche più che dallo spirito, ora che la durezza della lotta per la vita e la esperienza della tristizia umana non v'hanno ancora rintuzzato il senso della generosità e della compassione. Milioni di vostri fratelli a cui la fortuna ha negato il conforto e l'onore degli studi, e chiuso la via d'ogni agiatezza, confidano nell'opera della gioventù studiosa, sperano che almeno voi studierete spassionatamente la loro causa; e a questo noi v'esorteremmo del pari, quand'anche dalle vostre meditazioni doveste esser condotti a una fede opposta alla nostra, poichè noi pure, come quel focoso flagellatore dell'«Indifferenza religiosa», preferiamo gli avversari dichiarati che, combattendoci, soffiano nel nostro ardore, agli indifferenti che rifiutano di combattere; davanti ai quali ci cadono le armi dal pugno e gli entusiasmi dal cuore. Occupatevi della quistione fin d'ora, perchè in nessun modo riuscirete a scansarla nell'avvenire, qualunque campo d'azione siate per scegliere; perchè essa vi si leverà davanti negli studi solitari, nell'esercizio della professione, nell'educazione dei figlioli, nell'adempimento d'ogni vostro ufficio di cittadini; perchè essa s'attraversa oramai a tutti i passi della vita e s'affaccia a tutti gli sbocchi dell'intelligenza; perchè tutte le questioni di politica europea, e le lotte dei partiti parlamentari, e le splendide feste delle arti e delle industrie, e le grandi solennità patriottiche, e perfin le guerre internazionali, non son che episodi della storia, che la nascondono per brevi spazi di tempo; passati i quali essa riappare all'orizzonte, altissima, immobile, eterna, come la piramide di Cheope quando cade il vento del Sahara e il turbinìo delle arene si queta.
Non dovrei ribatter nemmeno coloro che vi consigliano di lasciar da un lato la quistione sociale dicendovi che essa riguarda una classe sola, o certe classi, non la vostra; perchè son certo che voi non siete tanto sdegnati dell'egoismo miserabile di quest'argomento quanto mossi a pietà dall'insensatezza di chi considera come una parte trascurabile della società la parte di lei più importante per il suo numero, più necessaria per la sua funzione, più benemerita per le sue fatiche; quella senza di cui la nazione non ha fondamento, la patria non ha difesa, e il mondo non ha nè vesti, nè tetto, nè utensili, nè pane. Ma l'argomento, pure intrinsecamente è falso. La quistione sociale abbraccia ormai tutte le classi poichè anche le classi medie, sebbene con minore intensità, per ora, e con effetti meno visibilmente dolorosi, risentono già tutti i danni di cui le inferiori si lagnano. Vi è già una gran parte della borghesia per cui l'esistenza non è meno minacciosamente precaria che per le classi chiamate con maggior proprietà lavoratrici; vi sono in tutti i campi del commercio e dell'industria le mezze fortune oppresse nella lotta disperata con le grandi; vi è un popolo di possidenti che mendica; v'è una concorrenza di cento paria per ogni stipendio che basti appena alla vita; vi sono migliaia di giovani d'ingegno e di studio a cui non è possibile di guadagnare quanto un bracciante prima dei trent'anni; v'è la vecchiezza pensionata che disputa il posto alla gioventù esordiente, la donna che lo contende all'uomo, l'uomo che lo contrasta al ragazzo; v'è una tal ressa di naufraghi intorno a ogni trave galleggiante, che quando uno per negligenza o per forza lascia andare la sua, non gli resta quasi più speranza d'afferrarne un'altra, e annega le più volte nella miseria. Il posto umilissimo che, per l'inferiorità forzata della sua educazione e per la falsità vanitosa della nostra, è assegnato nella società al lavoratore manuale, la cui opera si onora in astratto e si disprezza impersonata, e la scarsa e mutevole e spesso umiliante mercede con cui quell'opera è retribuita avendo per effetto che tutti rifuggano o cerchino d'uscire in qualunque modo dalla bolgia delle classi inferiori, ne segue che s'abbia un eccesso di produzione anche nel campo dell'intelligenza, che vi sia una sovrabbondanza enorme di gioventù colta alla quale la coltura non serve a nulla come l'oro all'affamato in mezzo al deserto, un esercito di riserva intellettuale, che, come quello della classe operaia, offre il suo lavoro in ribasso, e accetta ogni condizione di vita, e non trova a vivere nemmeno accettando ogni condizione. E il torrente ingrossa ogni giorno, e la piena è giunta per tutto a tal segno, che fin nel paese che deve alla sua grande coltura la supremazia politica e militare in Europa, si vede costretto il Governo a rifiutare il suo consenso alla fondazione di nuovi istituti d'insegnamento, perchè quelli che esistono sono già esuberanti al bisogno che ha la società di candidati. Lasciate ora che alle donne, poichè v'è anche per esse una quistione sociale, si schiudano tutte le vie, come accadrà per forza invincibile delle cose; supponete che si compia il voto del cor di tutti, d'un dimezzamento degli eserciti, che getterebbe nella concorrenza altre migliaia di giovani, i quali, per l'indole della loro educazione e per i pregiudizi connaturati allo stato presente della società, rifuggirebbero dal lavoro meccanico; e s'avrà allora un proletariato borghese non meno temibile, benchè men numeroso, anzi più potente e più attivo perchè più colto, di quel della plebe. Ma egli è già tale, e non più legato che da un così tenue vincolo di tradizione e d'interesse con la classe superiore, che è diventato in qualche paese una delle forze più vive del socialismo, un focolare spaurevole di malcontento e di ribellione acceso nel seno stesso della borghesia. Che se per ora, e fra noi specialmente, si fa meno avvertire, perchè è sparso e dubitante e perchè, trovandosi i suoi elementi in più diretta dipendenza dai privilegiati della fortuna, corrono maggior pericolo d'esser segnati e buttati sul lastrico, lasciate che scemino i suoi timori e ingrandiscano le sue speranze con l'allargarsi del socialismo nella moltitudine, nel parlamento e nella stampa, e vedrete come leverà il grido delle rivendicazioni, senza che gli si possa negare il diritto di levarlo. Non date dunque ascolto a chi vi dice che la quistione sociale non è che una quistione operaia ed agricola: il che sarebbe già qualche cosa, mi sembra; no, è la quistione di tutti, fuorchè di un pugno di ciechi e di sordi.
Altri vi dicono:—A che pro occuparvi della quistione sociale? Essa è antica come il mondo. Non mutano che i nomi: invece di schiavi, servi; invece di servi, salariati; i vinti della lotta darwiniana hanno sempre empito il mondo delle loro querele. Il socialismo rimarrà nello stato permanente di spauracchio e di freno all'individualismo prevaricatore, e sarà bene; ma null'altro. La miseria del maggior numero, come disse il Thiers, è nel piano della Provvidenza.—Domandate prima di tutto a costoro se la Provvidenza abbia mai fatto vedere al Thiers o ad altri il suo piano. Quanto alla teoria del Darwin, contentiamoci di domandare se le leggi della lotta fra le razze inferiori s'abbiano da riferire all'umanità, nella quale i vinti, che invece di sparire, si moltiplicano, non avrebbero che da unirsi, e lo possono, perchè i vincitori svaniscano come un nuvolo di polvere nell'uragano. Dicono:—la quistione è antica quanto il mondo.—E sia concesso. Ma quel che non è antico quanto il