Edmondo De Amicis
Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066073008
Indice
TORINO.
L'ENTRATA DELL'ESERCITO ITALIANO IN ROMA.
UN'ADUNANZA POPOLARE NEL COLOSSEO.
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1911
Terzo Migliaio.
Tip. Fratelli Treves.
NOTA A QUESTA NUOVA EDIZIONE
(1.ª edizione Treves—1911).
Edmondo De Amicis fu eccellente oratore. Quale concetto avesse della pubblica eloquenza, come sentisse quella «enorme fatica di tutte le potenze vitali», spiegò egli medesimo nelle Confessioni d'un conferenziere, che servono d'introduzione al libro intitolato Capo d'anno, pagine parlate. Quale fascino di persuasione e d'entusiasmo egli esercitasse sugli uditori, attestano tutti quelli che ebbero occasione di ascoltarlo. Dal ricco e vario vibrar della voce, dal gesto semplice, dal balenare dell'anima nella chiara onesta faccia, da tutta l'espressione della sua figura emanava la medesima virtù di simpatia, per cui ebbero e serbano tanta nobile popolarità i suoi libri. La tempra del suo ingegno e il suo gran cuore erano fatti apposta per assicurargli quella immediata corrispondenza spirituale con la moltitudine degli uditori, senza la quale ogni più dotta eloquenza è invano.
E fu oratore di attitudini così diverse che parrebbero opposte: seppe con mirabile giustezza di modi parlare via via alle persone colte e alla plebe, alle donne, agli studienti, ai fanciulli; fu conferenziere elegante e arringatore ardente di patria e di partito; sopra tutto riuscì spontaneamente maestro dell'eloquenza men tentata dai letterati e più difficile, quella che si rivolge alle menti inesperte, al popolo privo di cultura e agitato dalle passioni politiche, ai ragazzi che cominciano appena nelle scuole a sentire la forza della parola che illumina e commuove. Chi gli fu più vicino ricorda poi com'egli avesse felice la vena del breve detto d'occasione e del brindisi, sì nelle pubbliche cerimonie, sì nei conviti amichevoli, che gli piacevano tanto al suo tempo migliore, e nei quali studiò da par suo le significazioni e le bizzarrie dell'Eloquenza convivale.
Un senso nativo della misura e dell'opportunità governava sempre la sua parola; e il culto interiore della parola stessa, il vigile intuito dell'artista faceva sì che, qualunque cosa, in qualunque circostanza dicesse, non gli venisse, mai meno quel decoro letterario, che non lascia perdere dignità ad alcuna delle sue scritture, anche alle più umili e famigliari. D'ordinario non improvvisava; diceva prosa scritta, ma scritta per essere parlata, e però colorita e mossa secondo l'intento oratorio che si proponeva. E del resto parlata, per suo istinto e per suo istituto, era tutta la prosa del De Amicis; parlata fu virtualmente tutta quanta la sua opera letteraria, la quale tanto può sui lettori perchè a tutti fa l'effetto di una conversazione immediata dello scrittore con loro.
Egli non diede alle stampe tutte le sue conferenze, non tutti i suoi discorsi lasciò raccogliere. Pubblicò prima nel 1880, insieme con quelle di dieci altri amici, la conferenza sul Vino, ora entrata nelle nuove edizioni delle Pagine allegre; e l'anno dopo, nella Gazzetta letteraria di Torino, quella su L'espressione del viso, che aveva fatto al teatro Carignano per sovvenire ai figli del morto amico Roberto Sacchetti. Delle tre conferenze che disse al teatro Colón di Buenos Aires e poi al teatro Solis di Montevideo, fra l'aprile e il giugno del 1884, su Vittorio Emanuele, Cavour e Garibaldi, quest'ultima sola rifece e stampò in Italia, quale si legge nel presente volume. Più volte fu ristampata l'altra conferenza su I nostri contadini in America, tenuta il 31 gennaio 1887 alla Società filarmonico-drammatica di Trieste, e compresa ora nel volume di Capo d'anno: la quale diede agli uditori e all'oratore argomento di commozione indicibile, ricordata da lui nell'ultima pagina delle Confessioni d'un conferenziere, scritte appunto l'anno seguente.
Rimangono in volumetti separati la conferenza su La lettera anonima e i famosi discorsi Ai ragazzi, stimati un capolavoro di letteratura infantile, che segue ed integra l'universale libro del Cuore. Poco si conserva, e quel poco monco e disperso, dei discorsi fatti dal De Amicis in private adunanze e in comizi del partito socialista, massime in occasione di elezioni politiche: salvo i due grandi discorsi Per il 1.º maggio e Per la questione sociale, compresi in questo volume, e alcune minori cose contenute nell'altro libro che s'intitola Lotte civili.
L'ultima volta che il De Amicis parlò in pubblico fu il 20 marzo 1898, per pronunziare la commemorazione, pur essa qui stampata, di Felice Cavallotti, al teatro Nazionale di Torino; teatro popolare, riboccante quel giorno, ricordo bene, del popolo più misto che si potesse vedere, e che l'oratore sollevò tutto nel consenso e nell'ammirazione irresistibilmente.
Egli fu eletto deputato del 1.º collegio di Torino il 17 luglio di quell'anno. S'era lasciato presentare candidato per obbedire al bisogno di una protesta politica del suo partito allora insorto e perseguitato. Ma rinunziò all'ufficio, e il Parlamento non udì mai la sua parola. Due giorni prima dell'elezione gli era morta la madre amatissima. E pochi mesi dopo gli morì il figlio primogenito Furio: dolore