La carità del prossimo. Bersezio Vittorio. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Bersezio Vittorio
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066072650
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socie più benemerite e generose.

      —È dunque proprio vero che la vecchia marchesa è caritatevole come non si può essere di meglio?

      —Se è vero? esclamò il proprietario levando le mani in atto d'ammirazione. Val quanto dire che quella donna è la carità in persona.

      Rosina lanciò un'occhiata d'intelligenza a suo marito, con cui voleva dire:

      —Vedi s'io t'ho parlato giusto!

      Marone continuava con entusiasmo:

      —È il miglior sostegno della nostra pia congregazione. Quando nasce qualche bisogno straordinario, a cui non so come parare, io vado tosto dalla marchesa; sono sicuro di uscirne sempre con quel che mi occorre.

      —E quali sono le opere di carità che specialmente compie questa loro pia congregazione? domandò Antonio.

      Il padrone di casa levò su il capo con mossa imponente e rispose con enfasi:

      —Le migliori che si possano immaginare. Noi compriamo quanto più ci viene fatto di figliuole di mori, le facciamo battezzare ed allevare nella nostra santa religione… Noi non ci occupiamo che delle ragazze; dei maschi si dà pensiero una società sorella, quella di S. Primitivo; e così ogni anno sono delle belle dozzine di anime che noi abbiamo la viva e pura soddisfazione d'aver rapito al demonio e avviate per la strada del paradiso.

      —Se non si perdono cammin facendo! disse Antonio, che fece una smorfia la quale indicava come non provasse un soverchio entusiasmo per questa bella impresa. La cosa è certamente degna d'encomio, soggiunse egli diffatti, ma mi sembra che senza andarle a cercar tanto lontano ci sarebbero delle opere di carità non meno e forse più interessanti da eseguirsi qui in paese… Non diceva ella medesima poco fa che mai non ci furono tante miserie come a questo tempo? Pare a me che prima d'occuparsi dei figliuoli dei mori si potrebbe pensare ai figliuoli dei cristiani che muoiono di fame.

      Marone volse al pittore uno sguardo di freddo rimprovero e quasi di sprezzo.

      —Nulla è più meritevole e più degno che togliere un'anima dagli artigli di Satanasso: la carità che vi concede qualche bene materiale, passeggero, che cos'è appetto a quella che vi apre la felicità sempiterna?

      Il pittore avrebbe pure avuto ancora qualche piccola osservazioncella da fare; ma la moglie che voleva ad ogni modo abbonire il padrone di casa, disse ella per la prima:

      —Questo è vero; lei ha perfettamente ragione…. Del resto si può anche fare una cosa e l'altra…. Mi dicono per esempio, che la signora marchesa di Campidoro non trascura di soccorrere anche le miserie dei poverelli di qua.

      —Sì, rispose Marone masticando: la è una brava signora piena di buone intenzioni, e di denari la ne spende assai ed assai in elemosine…. Non sempre forse i frutti che ne ottiene corrispondono all'entità delle somme…. Poveretta! La se ne lascia mangiare di belli dal terzo e dal quarto.

      —E forse più che da tutti, da quel bell'uomo del suo cacciatore; disse Rosina che non poteva tener la lingua a segno.

      —Lei vuol dire Grisostomo? rispose Marone, chinando gli occhi sulla punta delle sue scarpe. Oh, quello è un brav'uomo che non c'è nulla da dire…. Se non avesse altri intorno che lui!… Ma ha trovato modo di ficcarlesi eziandio alle costole un certo tale, un sedicente filosofo, un umanitario: quel signor Salicotto che abita costà davanti alla mia casa, un empio che con bei discorsi e declamazioni d'una falsa filosofia cerca staccar le anime dalla vera religione e tira l'acqua al suo mulino; ma spero che coll'aiuto di quel sant'uomo del curato e di Grisostomo stesso apriremo gli occhi a quella brava signora e la libereremo da questo insidiatore…. Ma veniamo a noi. La cagione della mia venuta, loro la possono indovinare. A queste stagioni, io amo andare a vedere io stesso i miei inquilini. Passo da tutti, e porto meco per ciascuno la sua quietanza di pigione bella e fatta. Ecco qui la sua, signor Vanardi.

      Trasse di tasca un portafogli, l'aprì, ne levò una carta, e, spiegatala, la porse al pittore a fargliela vedere.

      —Come! già la quitanza? disse Antonio arruffandosi i peli della barba. Ma non è ancora scaduto il semestre.

      —Non vi ha più che quindici giorni…. E loro d'altronde mi devono ancora il precedente.

      —Questo è vero.

      —Poco fa mi ha promesso lei medesimo di pagarmi in questa settimana.

      —Anche questo è vero.

      —Ed ecco dunque la ricevuta.

      —Sì, signore: disse Vanardi puntando le due braccia alla tavola: tutto ciò va bene che non fa pure una grinza.

      —Ella dunque mi fa il piacere di rimettermi la somma ed io lascio qui la ricevuta già firmata.

      Antonio chiamava alla riscossa tutto il suo coraggio. Rosina si pose ad andare e venire con agitazione per la stanca, fingendo riporre delle robe e dar sesto alla casa.

      —Andrebbe tutto a meraviglia, saltò su dopo un poco il povero pittore, s'io davvero le potessi pagare adesso adesso quella somma, ma essendo che pel momento proprio non lo posso, non credo che lei voglia lasciarmi lo stesso quella quitanza in sì buona regola.

      Marone gettò di sbieco uno sguardo ratto sul suo interlocutore ed atteggiò le labbra al suo solito falso sorriso.

      —Ah, ah! la vuole scherzare, signor Vanardi.

      —Scherzare! esclamò accostandosi vivamente Rosina, a cui pareva già d'aver taciuto assai troppo.

      Ma il marito le fe' cenno colla mano stesse cheta e lasciasse parlar lui: ed essa, per quella volta, fece il miracolo d'obbedire.

      —No, pregiatissimo signor Marone, rispose Antonio: non ischerzo niente affatto. Quei denari non li ho, e non so donde andarli a stampare…. là!

      Il padrone di casa gettò intorno a sè degli sguardi irrequieti.

      —La dice daddovero?

      —Daddoverissimo.

      —Non può procacciarseli in nessun modo?

      —In nissunissimo.

      —Corbezzoli!

      Marone si alzò con una fisonomia severa come quella d'un giudice convinto della colpa del reo e andò lentamente verso la tavola a prendersi il cappello e il bastone.

      —Allora, diss'egli trascinando le parole e ripetendole come per farle penetrar più addentro nell'animo degli ascoltatori, allora… io sarò costretto… sì sono costretto… valermi dei mezzi che mi dà la legge… di tutti i mezzi che mi dà la legge.

      Rosina, che non poteva più stare alle mosse, gli si piantò dinanzi colle mani in sui fianchi:

      —Vuol dire, proruppe, che ci farà l'esecuzione, e ci venderà tutte queste poche robe che ci rimangono, e ci metterà in mezzo la strada…

      —Queste robe, queste robe: disse sprezzosamente Marone, guardandosi intorno. Forse che basteranno a pagarmi del mio avere?

      E Rosina che incominciava a perdere il sangue freddo:

      —Eh sì, valgon poco…, sì, sono povere masserizie, ma sono di onesta gente, che non merita d'essere trattata come cani…

      —Rosina! esclamò Vanardi, facendole gli occhi grossi.

      —Eh, lasciami dire, chè la mi prude…

      —Onesta gente: ripeteva il proprietario; certo che sì, va benissimo; io ho per loro la maggiore stima, ma quando non si paga…

      —Quando un povero diavolo ha la sfortuna che lo perseguita…

      —Ah! mia cara madama Vanardi, la sfortuna è una scusa bella e buona per tutti quelli che mancano ai loro impegni… Ma la si metta un poco ne' miei panni anco lei… Un proprietario… vive della pigione della sua casa; ora se il provento non gli entra in cassa, come avrà