L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066069841
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le mani, da destra a sinistra piegando la persona, si accommiatava.

      Lupo, staccando il lampione e rischiarando la via, mormorava:

      «Pagare! il cuore! Che diavolerie sono elleno queste? Avrei per avventura ceffo di quelli che mangiano gli uomini alle Indie? Messere Lucantonio, vedete non farvi male... andate piano... qua v'è uno scalino da scendere... a rivederci... buona notte. E voi, Annalena, rammentatevi di me nelle vostre orazioni.»

      «Addio... buona notte...», si udì alternare da una parte e dall'altra. — Poi fu fatto silenzio.

      Lupo rientrando depose il lampione, si avviluppò nel gabbano, e ponendosi a giacere sulla panca, mormorava — Lupo vergógnati! Quell'uomo conta un terzo anni più di te, ha veduto la sua casa incendiata, le sostanze disperse, le terre guaste; e nondimeno pieno di fede spera, o pieno di ardimento fermò nel cuore il suo fine... Tu invece, dubiti... ti sconforti e, quello ch'è peggio, sconforti altrui. — Egli non soldato, tu allevato e cresciuto nei campi. — E ciò da che nasce? Nasce dall'essere in lui il cuore buono, il senno ottimo... — Tu veramente, Lupo, cuore non hai cattivo, si potrebbe sostenere anche buono..., ma per il senno... Ah! Lupo, tra te e te puoi confessare che sei tondo come l'O di Giotto... e non vedi più in là mezza spanna del naso.[111]

       Indice

      Gran cosa, che, di sedici gonfaloni, quindici

      furono di tanta altezza e generosità di animo

      che risolvettero veder perdere piuttosto

      la roba e la vita combattendo che l'onore

      e la libertà cedendo.

      Varchi, Stor., lib. X.

      Chi vuol veder quantunque può natura

      In fare una fantastica befana,

      Un'ombra, un sogno, una febbre quartana,

      Un model secco di qualche figura,

      Anzi pure il model della paura.

      Una lanterna viva in forma umana,

      Una mummia appiccata a tramontana,

      Legga per cortesia questa scrittura.

      Berni, sonetti.

      La storia è poderosa quanto il grido dell'angiolo che deve suscitare dalle tombe le ossa inaridite; — ella evoca le ombre delle andate generazioni e le costringe al giudizio.

      Ma lo spirito, insofferente del confine a lui imposto dalla forza misteriosa che chiamiamo Dio, quando s'ingegna conoscere da quello che il mondo soffriva quanto egli ancora sia destinato a soffrire, merita l'inferno comune con Satana. — I fati posero il genio del rimorso a custodia dei sepolcri, — e contendono dalle reliquie dei morti derivarsi argomento di esperienza pei vivi. Continue paure sgomentano gl'indagatori delle arti arcane vietate ai mortali, ed è la storia tra queste. Come l'albero della scienza dell'Eden, sta nella vita umana lo studio; quello produsse la morte del corpo, questo la certezza del male, ch'è la morte dell'anima.

       Infelicissima vita dell'uomo giunto a penetrare gli arcani difesi! perocchè i cieli mente bastevole a separarlo dai suoi fratelli di miseria gli concedessero, tanta poi che valesse per sollevarlo alle sostanze spirituali gli negassero. Ora la superbia lo trattiene dall'inclinare lo sguardo sopra una stirpe che egli calpesta e disprezza perchè non sa migliorarla; la disperazione gli dice fissarsi invano occhio mortale nell'alto. Fin dove poteva sorgere, egli è sorto: adesso si roda le viscere. — Ah quasi per errore egli venne tra le cose create: quanta sarebbe pietà riporlo tra le disfatte!

      Un tempo fu, adesso per molta età diventato antico, in cui gli uomini ordinarono al poeta adombrate dal velo delle allegorie le sentenze della dottrina morale rappresentasse; ed Eschilo allora immaginava cantando il figlio di Giapeto, salito all'Olimpo per conforto di Pallade, rapirne il fuoco celeste e vivificare con quello lo spirito umano. Geloso il tiranno dei cieli, lo condannando ad immortale supplizio, mandava l'avoltojo a pascere il fegato perenne al sapiente infelice. Incatenato alle rupi del Caucaso, chiama Prometeo[112] l'etere, la terra e il mare in testimonio dell'atroce ingiustizia. Lui incitava al meglio il grido della natura; una pietà profonda, un sublime pensiero lo spinsero a fare meno triste le sorti della bestia che parla. Ora come secondavano gli dei tanto amorevole benignità? La creatura amante e, comechè incolpevoli, le creature amate ebbero comunanza di pena. A tormentare la prima fu mandato l'eterno carnefice; — a tormentare le seconde vennero la infermità, la tristezza, ed Esiodo poeta aggiunge illepidamente le donne...

      Più sicuri noi contempliamo la dura verità. Santo Agostino e Rabano[113] ci narrano come Prometeo fosse uomo inclito per dottrina, il quale meditando sulle ragioni delle cose svelava agli uomini le proprie miserie, e palpate le piaghe loro, non seppe poi con qual farmaco mitigarle. Gli uomini tratti dalla ignoranza nell'angoscia maledirono l'importuno maestro, che si consumò nell'angoscia di aver procurato irrimediabile un male con intenzione del bene.

      Avventuroso lo stolto! — Bacone de Verulamio due afferma essere le condizioni della vita figurate dalla sapienza antica nelle persone di Epimeteo e di Prometeo. «E chi, egli ragiona, improvvido del futuro seguitò la scuola di Epimeteo prendendo diletto delle cose presenti, senza darsi cura dell'avvenire, placava il genio maligno e, lusingandosi di vane speranze, traeva la vita come nella dolcezza di sogno fortunato. — Gli alunni di Prometeo, per lo contrario, indagatori acuti degli uomini e delle cose, ogni letizia appassirono. Stretti alla colonna della necessità, da paure continue agitati, perderono la pace del cuore; e se pure spunta per essi un'alba di conforto, nuovi terrori sopravvengono improvvisi a disperarli con l'antica agonia[114].»

       Avventuroso lo stolto! La disputa se la scienza giovi a migliorare le condizioni umane pende indecisa. A Giangiacomo il suo genio disse: Nega, — ed ei negò, e le genti lo chiamarono scempio. E che monta il giudizio della gente? La storia insegna le verità maravigliose essere state mai sempre schernite col nome di follia. E sì che Gesù Cristo predicando alle turbe in Galilea tale dava principio alla sua orazione: — Beati i poveri di spirito[115], — e sì che i santi Paolo e Gregorio ordinarono l'incendio di molte migliaia di volumi: ed oh! piacesse a Dio che potessimo davvero di tutti i libri del mondo costruire un rogo per farvi sopra un atto di fede dei miserabili sofismi chiamati col nome di ragione umana.

      Ma via, che cosa ella è mai nostra scienza? Un deserto senza confini e senza oasi. Presunzione soverchia di noi stessi ci consiglia di porvisi dentro alla ventura; — il dubbio ci punge sempre ad andare oltre; e se mai avviene che un qualcheduno ritorni a casa sano, mostra manifesto sul volto il segno della curiosità delusa, della stanchezza disperata per aver saputo che nulla possiamo sapere quaggiù. Il nostro intelletto va ingombro di perchè senza risposta; e se l'angiolo custode non ti riposa la mente da queste domande, tu vedi in brevi apparire la pazzia, la quale irridendoti ti scuote davanti il suo bastone co' sonagli. «La sapienza degli uomini si assomiglia alla cenere, i suoi ragionamenti superbi sono mucchi di fango[116].» Perchè dunque la bestia che parla si vanterà superiore alla bestia che la voce non modula a guisa di parola? Forse perchè la prima ha senno e mani da trucidare la seconda[117]? Non sempre si lasciò uccidere, sovente anch'ella uccise; e pel rimanente, che cosa dice lo Spirito? La condizione della bestia è in tutto eguale a quella dell'uomo; ambedue muoiono di pari morte, ambedue composti di terra si disfanno in terra. Chi può affermare che l'alito dei figli d'Adamo si volga in su e quello delle bestie si volga in giù[118]? La verità per noi è come per i re di Gerusalemme e di Cipro, come i vescovi in partibus, un segno senza idea. Ponzio Pilato, certo giorno che non aveva altro da fare, interrogò Gesù Cristo in che consistesse la verità; — poi non attese la risposta ed uscì fuori[119]. — Danno inestimabile fu che il proconsole Pilato non avesse pazienza di fermarsi un momento!

      Dunque?

      Vi aveva forse promesso di concludere? E se pure ve lo avessi promesso, può egli in siffatte materie tenersi