Ma perché? Chi se ne andava in giro con una singola calza da donna?
I suoi pensieri vennero interrotti da una tavola scricchiolante dietro di lui. Garland si infilò lentamente il bloc notes in tasca e si alzò in piedi lentamente, anche se i suoi pensieri stavano correndo selvaggiamente. Poteva sentire il rumore di un pesante e soffocato respiro a pochi passi da sé, e riusciva effettivamente anche a percepire il calore corporeo di un’altra persona all’interno della stanza. Strinse con forza la piccola torcia, ben consapevole che si trattava dell’unica cosa simile a un’arma in suo possesso.
Cercò di ricordare l’addestramento dei giorni trascorsi da giovane all’FBI, ma erano passati più di quarant’anni. La cosa più vicina a un alterco fisico che gli fosse capitata recentemente era quando un ragazzo con lo skateboard lo aveva fatto cadere per terra l’anno scorso mentre gli sfrecciava accanto sul marciapiede.
Alla fine Garland decise di far fare il lavoro all’adrenalina e all’istinto. Ma non intendeva aspettare che lo attaccassero. Quindi, alla rapidità che gli era concessa dalle sue ossa doloranti, ruotò e puntò la torcia in direzione del pesante respiro.
Vide immediatamente il suo assalitore, che indossava abiti neri e un passamontagna e teneva una cintura di pelle in mano. Anche se il volto non era visibile, la struttura suggeriva che fosse un uomo. Garland fece un passo verso l’uomo, che alzò una mano per schermare la luce e si lanciò in avanti. Sbatterono con forza l’uno contro l’altro, ma il vantaggio di peso dell’uomo spinse Garland con la schiena contro il comò. I suoi occhiali volarono via. Sentì gli spigoli del comò che sbattevano contro la sua schiena e sbuffò.
Cercò di ignorare il dolore e si concentrò sulla figura, che si stava di nuovo lanciando velocemente contro di lui. Mentre l’uomo correva in avanti, Garland spostò la torcia verso l’alto, colpendolo sul lato sinistro del busto, subito sotto alla cassa toracica. L’avversario inspirò con forza, piegandosi a metà e permettendo così a Garland di spingerlo a terra.
Poi l’anziano detective lo aggirò e scattò verso la porta della camera da letto. Anche da quella breve distanza, tutto gli sembrava appannato senza occhiali. A tre passi circa dal corridoio, sentì una mano che si stringeva con forza attorno alla sua caviglia destra, tirando indietro e facendogli perdere l’equilibrio. Cadde sul pavimento. Con il tonfo sentì uno scricchiolio e un dolore lancinante all’anca destra. Nonostante tentasse di trattenersi, gridò.
Cercò comunque di ignorare il dolore bruciante. Voleva rotolare in modo da non trovarsi in una posizione così vulnerabile, ma il suo corpo non gli obbediva. Fece invece l’unica cosa che gli venne in mente. Cercò di strisciare fuori dalla stanza. Ma subito sentì il peso dell’altro uomo che gli montava sopra, bloccandolo all’altezza della vita.
Il disagio fisico era insopportabile e le ondate di dolore si irradiavano dall’anca. Ma quello non era niente confronto alla stretta di paura che gli stava ora avvolgendo il corpo intero. C’era un uomo sopra di lui, con una cintura in mano, e lui non poteva farci fisicamente niente.
Ebbe un brevissimo attimo di consapevolezza, pensando che stava vivendo lo stesso momento di terrore provato da tantissime delle vittime che aveva visto. Poi, decidendo di non volersi unire a loro, smise di lottare per fuggire e spinse invece la fronte contro la moquette e tirò i pugni contro il proprio collo per proteggerlo preventivamente.
Un attimo dopo sentì la cintura che roteava sopra alla sua testa, sentì l’uomo che tentava di farla passare tra la sua fronte e la moquette per mettergliela attorno al collo. Il movimento gli sbucciò un po’ la pelle della fronte, ma ignorando il dolore Garland allargò le mani strette a pugno e afferrò la cintura in modo da creare una barriera tra essa e la sua gola.
L’uomo sopra di lui parve non curarsene. Tirò con forza così che le nocche di Garland si trovarono schiacciate contro il suo pomo d’Adamo, facendolo annaspare per respirare. L’odore dei suoi guanti in lattice gli riempì le narici. Inspirò come poté e tentò di tenere la cintura un po’ allentata mentre pensava a qualcosa da fare.
Si guardò attorno disperato. Tutto sembrava indistinto. Eppure doveva esserci qualcosa lì vicino da poter afferrare, o una qualche manovra da provare. Doveva esserci un qualche modo per ingannare il suo aggressore. Quarantacinque anni a fermare assassini non potevano concludersi così.
Ma non c’era nulla: niente da prendere, nessun modo di poter gridare. Era incastrato. Sarebbe morto su quella moquette, in quella casa, a pochi metri da persone che aspettavano che i loro cagnolini facessero i loro bisogni in modo da potersene andare a letto. Non aveva nessuna opzione.
Ma mentre il suo pensiero si faceva più affaticato e i suoi pensieri più appannati, si rese conto che non era del tutto vero. Poteva anche non sopravvivere a questo, ma poteva fornire un indizio su chi fosse il colpevole. Il detective Ryan Hernandez avrebbe di sicuro indagato sulla sua morte, e se l’avesse fatto si sarebbe consultato con Jessie Hunt. Se Garland poteva fornire un indizio sul colpevole, Jessie lo avrebbe potuto scoprire. Se c’era qualcuno che poteva farlo, era lei.
Quindi decise di fare l’unica cosa che gli venne in mente. Premette il corpo in basso verso la moquette con più forza possibile, creando spazio tra il proprio corpo e quello dell’uomo sopra di lui. Poi, quando sentì che il suo aggressore tirava al massimo della sua forza, smise di lottare e gli permise di farsi tirare indietro la testa in modo aggressivo.
Aveva sperato di poter colpire il volto dell’uomo, di lasciargli un livido visibile. Invece sentì che la sua nuca andava a sbattere contro qualcosa di duro ma meno prominente. Udì uno scricchiolio. L’uomo gemette e allentò leggermente la presa. Garland immaginò si trattasse della clavicola.
Per una frazione di secondo fu tentato di cercare di divincolarsi, ma sapeva che non avrebbe avuto alcun effetto. L’altro uomo era già in vantaggio. Usò invece quella brevissima pausa per prendere un’altra boccata d’aria e dare un’altra testata indietro. Il grido dell’uomo gli fece capire che era andato a segno un’altra volta.
Ma poi l’uomo parve trovare una nuova riserva di forza e furia. Garland sentì la cintura che lo stringeva con maggior forza di prima e scoprì di non poter più fare leva con i pugni. In realtà poteva sentire il sangue che pompava nella carotide mentre la cintura premeva contro il dorso delle sue mani. Un altro strattone violento gli schiacciò la trachea e lui sentì il suo respiro diventare roco.
Tutt’a un tratto notò che il dolore all’anca, alla schiena, alle mani e alla gola stava svanendo. Si chiese da cosa potesse derivare. E poi, con un ultimo pensiero coerente, gli venne in mente: stava perdendo conoscenza per quella che sarebbe stata la sua ultima volta.
CAPITOLO OTTO
Jessie si mise seduta di scatto sul letto.
Il rumore del telefono di Ryan che suonava l’aveva strappata alla migliore notte di sonno che avesse avuto in settimane. Riconobbe subito la suoneria. Era il capitano Decker. Guardò la sveglia posata sul comodino. Erano le 2:46. Perché il capitano della loro centrale chiamasse a quell’ora del mattino, doveva essere successo qualcosa di davvero grave.
“Pronto,” disse Ryan dopo aver rovistato con il telefono per diversi secondi.
Jessie poteva sentire la voce di Decker, ma il capitano parlava più sottovoce del solito, impedendole di distinguere una sola parola. Jessie notò però che il corpo di Ryan si irrigidì visibilmente.
“Ok,” disse lui sommessamente, accendendo la luce e mettendosi a sedere.
Decker continuò a parlare per un altro mezzo minuto mentre Ryan ascoltava senza mai interromperlo.
“Certo,” disse alla fine, e poi riagganciò.
“Cosa c’è?” chiese Jessie.
Ryan si alzò dal letto, dandole le spalle mentre si infilava i pantaloni.
“C’è stato un altro omicidio a Manhattan Beach,” disse sottovoce, “nella stessa casa di quello