04 Stanislavskij K.S., Sobranie socinenij …, cit., p.248
Alcuni anni dopo, Stanislavskij rivisita il suo approccio verso il lavoro dell’attore sul personaggio. Ma anche il cosiddetto “metodo delle azioni fisiche” contempla il lavoro dell’attore tra le mura domestiche: «A casa potete ripassare la parte, partendo dalle azioni fisiche. Mettete a punto una linea di semplici, elementari azioni fisiche. Lavorare sull’appropriazione della vita fisica del personaggio a casa vostra non è solo possibile, ma persino doveroso»05.
05 Dallo stenogramma della lezione di Stanislavskij del 11 novembre 1935, in: Masterstvo aktera …, cit.
Purtroppo, Stanislavskij non arrivò mai ad elaborare una metodologia di auto-preparazione dell’attore in maniera altrettanto dettagliata di quella dedicata al training e alle prove in teatro. I suoi stessi attori hanno continuato a riversare sul regista la maggior parte del lavoro. Il risultato di questa lunga battaglia contro il parassitismo attoriale è stato minimo.
Tuttavia, il merito di Stanislavskij consiste nell’aver indicato l’enorme potenziale racchiuso nel lavoro individuale e ben organizzato. Quanto alle generazioni successive di registi e pedagoghi, essi hanno elaborato diversi metodi per le prove in teatro, trascurando completamente la questione del lavoro di preparazione individuale, come se si trattasse di un problema personale dell’attore. Oggi questa lacuna riaffiora. Il tempo dei mestieranti-autodidatti è passato, mentre è evidente la necessità di verificare, in maniera professionale, le possibilità di un’auto-preparazione dell’attore.
2. Un diverso modello di attore
Essere un Artista significa, prima di tutto, sentire il divino, e realizzare poi il divino stesso attraverso il proprio “Io”. Direi che sono due condizioni fondamentali e che la seconda è interamente connessa alla capacità di sentire se stessi. Oggi, questa capacità, lungi dall’essere sviluppata, viene spesso negli attori del tutto sradicata. Ho notato che quanto più il regista riesce a delegare all’attore, tanto più quest’ultimo riesce ad avere fiducia in sé stesso; quanto più l’attore coltiva il proprio lavoro individuale, tanto più
riesce a sviluppare e rafforzare la propria individualità artistica. Al contrario, più è manipolato dal regista, più diventa debole come artista, meno interessante è lavorare con lui.
Quando mi riferisco all’auto-preparazione dell’attore, non intendo soltanto la sua auto-formazione, ma soprattutto l’ indipendenza del suo pensiero artistico. Che l’attore debba essere una persona colta e riflessiva, sembra ormai una verità scontata, e m’ imbarazza quasi ripeterla. Nonostante questa sia una realtà ancora lontana, il problema sta altrove: oltre ad essere una persona intelligente e istruita, l’attore deve diventare un artista indipendente, un maestro, un creatore. L’attore della prossima generazione, a mio avviso, dovrà essere in grado di scegliere e di creare il proprio ruolo da solo . In questo caso nessuno, tranne l’attore stesso, può rispondere del suo lavoro, della sua vita, e ancor meno della sua felicità. Eppure, essere felici è lo stimolo più importante e persino l’essenza della professione dell’attore.
L’auto-preparazione non va intesa come un semplice trasferimento delle prove dal teatro a casa propria: si tratta infatti del trasferimento del lavoro nel territorio dell’attore.
Esso richiede all’attore una diversa forma mentis, chiama in causa la sua personale visione del mondo e del personaggio. La costruzione del ruolo può essere frutto non dei suggerimenti altrui, ma della maturazione di principi ed idee personali dell’attore. Questo modello di teatro non si basa su un sistema universale, capace di soddisfare più personalità; anzi, esso mette al centro la creatività dell’artista,
che elabora un proprio sistema, proporzionato al suo talento, alla sua maestria e alla sua maturità spirituale.
L’auto-preparazione richiede all’attore la capacità di lavorare in solitudine (come l’artista nel suo atelier), senza farsi coinvolgere troppo dalle circostanze, da “amici” o “nemici”. Contemporaneamente, essa esige una grande capacità di apertura nei confronti del partner, oltre alla continua crescita spirituale, intellettuale ed artistica. In cambio, l’attore acquista un indispensabile senso di responsabilità nei confronti della vita del proprio personaggio, diventandone il suo vero autore. Grazie a tale stretta relazione, l’ iniziativa passa, sin dall’ inizio, all’attore e rimane nelle sue mani durante il processo creativo. (Se si perde questa chance, diventa poi molto difficile ridare l’ iniziativa all’attore: essa passa al testo, al carattere del personaggio, alle circostanze della parte, alle fantasie del regista e non appartiene pienamente all’attore. L’attore senza iniziativa non è che uno strumento, più o meno accordato. Ma non riuscirà mai ad innalzarsi al livello di artista). Un attore libero ed indipendente detiene i “diritti d’autore” del ruolo da lui creato. Egli discerne e penetra l’essenza del proprio ruolo, scoprendone il codice genetico. Non ha più paura, perché ormai “esiste”. Quando arriva alle prove in teatro ha già le sue proposte da Artista e non domanda al regista, con fare da lacchè: “Cosa desidera il maestro?”. Si sente pronto ad affrontare il lavoro collettivo, a mettersi in discussione, ad andare pazientemente alla ricerca di soluzioni migliori.
Vedo in questa auspicabile capacità dell’attore di lavorare individualmente una garanzia per la sopravvivenza della sua professione e per la vita spirituale del teatro tout court. Per questo motivo considero opportuno proporre ai pedagoghi, agli studenti delle scuole teatrali, agli attori ed ai registi una determinata metodologia di auto-preparazione dell’attore che ho definito come la “verticale”
del ruolo.
Parte II La verticale del ruolo
1. Incontro a due
Purtroppo, molti attori e registi danno poca importanza al primo incontro con il testo drammatico e con il ruolo. In realtà, è da lì che si inizia a percorrere la strada verso la comprensione dell’essenza dell’opera. L’ inizio del cammino è sempre importante. Mi capita di vedere gli attori leggere il testo della pièce nella metropolitana o sull’autobus, interrompendo la lettura con chiacchierate o con un appetitoso panino. Lo facevo spesso anch’ io.
E’ evidente che se l’ incontro con il ruolo avviene in questo modo, nell’attore s’ innesca un rapporto consumistico verso quest’ultimo. La preoccupazione diventa: “come averlo”, come “sfruttarlo”, “come masticarlo”, come
“digerirlo”.Stanislavskij scriveva: «… il processo della prima conoscenza con il ruolo richiede un’attenzione incomparabilmente maggiore, rispetto a quella che le si presta di solito. Purtroppo, pochi sono gli attori consapevoli di questa semplice verità…»01.
01 Stanislavskij K.S., Sobranie socinenij …, vol.. 4, cit., p.199
Per me è un momento intimo e magico, rituale quasi, ma senza pompa: da quel momento inizia a snodarsi un filo invisibile verso la nascita di una nuova vita. Si tratta di un momento delicato, in cui un esagerato senso di concretezza, pragmatismo, noncuranza, pregiudizi o troppo ardore “giovanile” non portano buoni risultati. Ricordiamo che la prima opinione sul testo e sul personaggio ha un grande peso e che cambiarla in seguito è molto più difficile di quanto non sembri. Meglio che questa rimanga per il momento allo stadio di una vaga impressione: anche se imprecisa, ci lascerà più liberi.
Ogni attore esperto sa che un ruolo interessante non si lascia “scoprire” immediatamente. Al contrario, esso