“Ella, cosa stai facendo?” Chiese Pierre, esasperato.
“Mi sto grattando il ginocchio”, spiegò la bambina.
“Perché stai usando un cucchiaio?”
“Le mie unghie non sono abbastanza lunghe per raggiungere il prurito. Abbiamo camminato tra le ortiche”, disse Ella con orgoglio. “Antoinette ha fatto vedere una scorciatoia a Cassie. Mi hanno punto sul ginocchio. Cassie è stata punta su tutta la faccia e le braccia. Stava piangendo”.
Margot sbatté il suo bicchiere di vino sul tavolo.
“Antoinette! Lo hai fatto di nuovo?”
Cassie sbatté le palpebre, sorpresa di scoprire che quanto accaduto non fosse una novità.
“Io…” Antoinette iniziò in modo provocatorio, ma Margot era inarrestabile.
“Sei un piccolo mostro crudele. Vuoi solo creare problemi. Pensi di essere furba, ma sei solo una ragazzina stupida, perfida ed infantile”.
Antoinette si morse le labbra. Le parole di Margot avevano scalfito la sua fredda corazza di autocontrollo.
“Non è colpa sua”, si ritrovò a dire ad alta voce Cassie, chiedendosi troppo tardi se bere il vino fosse stata una buona idea.
“Dev'essere davvero difficile per lei gestire —” si fermò di botto, perché stava per parlare della morte della madre, ma Ella credeva ad una versione differente e Cassie stessa non aveva idea di quale fosse la verità. Non era il momento di fare domande.
“Gestire tutti questi cambiamenti”, disse. “In ogni caso, Antoinette non mi ha detto di fare quella strada. L'ho scelta io. Ella e io eravamo stanche e sembrava una buona scorciatoia”.
Non osò guardare Antoinette mentre parlava, in caso che Margot sospettasse una combutta, ma riuscì a cogliere lo sguardo di Ella. Le diede un'occhiata di intesa, sperando che capisse perché Cassie stava dalla parte di sua sorella, e fu ricompensata con un piccolo cenno del capo.
Cassie temeva che difendere la ragazzina l’avrebbe messa in una situazione ancora più pericolosa, ma si sentiva in obbligo di dire qualcosa. Dopo tutto, lei sapeva bene come fosse crescere in una famiglia distrutta, dove poteva scoppiare un casino in ogni momento. Capiva l'importanza della presenza di un modello più grande da seguire, che potesse offrire riparo dalla tempesta. Come avrebbe fatto lei stessa a superare i momenti difficili senza la forza di Jacqui? Antoinette non aveva nessuno che la difendesse.
“Quindi hai deciso di stare dalla sua parte?” sibilò Margot. “Fidati, te ne pentirai, proprio come ho fatto io. Non la conosci come la conosco io”. Puntò il dito con una perfetta manicure scarlatta verso Antoinette, che iniziò a piangere. “È proprio come sua —”
“Smettila!” ruggì Pierre. “Non accetto discussioni a tavola — Margot, ora stai zitta, hai detto abbastanza.
La donna si alzò in piedi così rapidamente, che la sua sedia cadde con uno schianto.
“Mi stai dicendo di tacere? Bene, allora me ne vado. Ma non pensare che non abbia provato ad avvisarti. Avrai ciò che ti meriti, Pierre”. Si diresse verso la porta, ma poi si voltò nuovamente, fissando Cassie con un odio malcelato.
“Avrete tutti quello che vi meritate”.
CAPITOLO OTTO
Cassie trattenne il respiro mentre Margot si allontanava rabbiosamente lungo il corridoio. Guardandosi intorno, la ragazza si rese conto di non essere l'unica ad essere rimasta scioccata per lo sfogo feroce della donna. Marc aveva gli occhi spalancati e la bocca sigillata. Ella si stava succhiando il pollice. Antoinette aveva una silenziosa espressione furibonda.
Bisbigliando un'imprecazione, Pierre spinse indietro la sua sedia.
“Me ne occupo io”, disse, dirigendosi verso la porta. “Tu metti i bambini a letto”.
Contenta di aver qualcosa da fare, Cassie si alzò, dando un'occhiata alle stoviglie in disordine sulla tavola. Doveva riordinare o chiedere ai bambini di dare una mano? La tensione si poteva tagliare con un coltello. La ragazza desiderava poter fare una qualunque semplice faccenda domestica, come lavare i piatti, per provare un po’ di calma e tranquillità.
Antoinette notò la direzione del suo sguardo.
“Lascia tutto dove si trova", scattò. “Qualcuno pulirà più tardi”.
Cercando di usare un tono allegro, Cassie disse “Bene allora, è ora di andare a dormire”.
“Non voglio andare a letto”, protestò Marc, dondolandosi sulla sedia. Quando perse l'equilibrio, urlò con finto terrore e si aggrappò alla tovaglia. Cassie corse in suo soccorso. Fece in tempo ad impedire che la sedia cadesse, ma non fu veloce abbastanza per evitare che Marc facesse ribaltare due bicchieri e facesse cadere un piatto sul pavimento.
“Di sopra", ordinò la ragazza, cercando di usare un tono deciso, ma la voce era acuta e tremolante per la stanchezza.
“Voglio uscire”, disse Marc, correndo verso la porta finestra. Al ricordo di come l'aveva seminata nei boschi, Cassie gli corse subito dietro. Quando lo raggiunse, il bambino aveva già girato la chiave nella porta, ma lei riuscì ad afferrarlo e fermarlo prima che potesse aprirla ed uscire. La ragazza vide il loro riflesso nel vetro scuro. Il bambino con i capelli ribelli e un'espressione impenitente — e se stessa. Con le dita gli afferrava le spalle, aveva gli occhi spalancati e ansiosi, e il viso bianco come un lenzuolo.
Vedere il proprio riflesso in quel momento inaspettato le fece comprendere quanto, fino a quel momento, avesse fallito nel compiere il suo dovere. Erano passate 24 ore dal suo arrivo, e non aveva avuto il controllo per un solo minuto. Pensare il contrario voleva solo dire prendersi in giro. Le sue aspettative di entrare a far parte della famiglia, ed essere amata, o almeno apprezzata, dai bambini, non potevano essere più lontane dalla realtà. I ragazzi non avevano un minimo di rispetto nei suoi confronti, e lei stessa non aveva idea di come avrebbe potuto cambiare le cose.
“È ora di andare a dormire”, ripetè stancamente, e tenendo la mano sinistra saldamente sulla spalla di Marc, tolse le chiavi dalla serratura. Notò un gancio posto in alto sul muro, e ve le appese. Poi, condusse il bambino al piano di sopra senza mollare la presa. Ella camminò accanto a loro, e Antoinette li seguì scoraggiata, sbattendosi la porta alle spalle una volta entrata in camera, senza neanche dire buonanotte.
“Vuoi che ti legga una storia?” chiese a Marc, ma lui scosse la testa.
“Va bene. A letto, allora. Se vai a dormire ora, domani puoi alzarti e giocare coi tuoi soldatini”.
Era l'unico incentivo che le venne in mente, ma sembrò funzionare; o forse il bambino aveva finalmente ceduto alla stanchezza. In ogni caso, con suo grande sollievo, Marc fece come richiesto. Cassie tirò su il piumone per coprirlo, notando che le mani le tremavano per l'enorme stanchezza. Se Marc avesse provato a liberarsi un'altra volta, era certa di scoppiare in lacrime. Non era sicura che il bambino sarebbe rimasto a letto, ma almeno per ora il suo compito era stato svolto.
“Io voglio una storia”. Ella le tirò il braccio. “Me ne leggi una?”
“Certo”. Cassie andò nella camera della bambina e scelse un libro dalla piccola selezione sullo scaffale. Ella corse a letto, saltando sul materasso per l'eccitazione, e la giovane si chiese quante volte le avessero letto una storia in passato, perché non sembrava fosse una cosa abitudinaria. Sebbene, pensò, fino a quel momento non aveva notato molti dettagli della vita di Ella che si potessero considerare normali.
Le lesse la storia più corta che riuscì a trovare, e si ritrovò con Ella che insisteva per leggerne una seconda. Quando giunse alla fine e chiuse il libro, Cassie non riusciva più a distinguere le parole. Alzando lo sguardo, vide con suo grande sollievo che la lettura aveva fatto calmare la bambina, che si era finalmente addormentata.
La ragazza