Quattro Destini. Powell Michael. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Powell Michael
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Серия:
Жанр произведения: Книги о войне
Год издания: 0
isbn: 9788835401551
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sistematicamente costretti verso la linea di Hindenburg – che segnava il confine del territorio tedesco prima della guerra. Kurt, sebbene si rendesse conto che il suo contributo sarebbe stato insignificante, voleva disperatamente dare una mano per salvare la sua amata patria dalla sconfitta. Come molti dei suoi commilitoni, sentiva che i leader tedeschi, si erano imbarcati in una guerra folle, avevano rovinato il loro grande esercito, e ora si stavano preparando a tradirli con una resa vergognosa.

      Il dottore che si occupò della sua ferita fu comprensivo con il suo desiderio di tornare al fronte. "Capisco perfettamente come si sente, Unteroffizer, ma non credo che rimandarla indietro sia di aiuto per qualcuno. Non sappiamo neppure dove sia la linea ora e, inoltre, se torna indietro, è molto probabile che contrarrà una setticemia che la ucciderebbe in modo molto più efficace di un proiettile inglese!"

      "Cosa posso fare? Si aspetta che me torni semplicemente a casa e mi dimentichi la guerra?"

      "Date le circostanze, sì, sarebbe probabilmente la scelta migliore. Torni a casa."

      Kurt fu caricato su un treno che portava i feriti in Germania. Si mosse a singhiozzo per alcune miglia, poi si fermò a un binario di incrocio per far strada a un treno che andava nella direzione opposta e che trasportava giovani dall'aria spaventata verso il massacro. Alla fine, fu ordinato di scendere sui binari. “Ora dovrete camminare; questo treno è stato requisito.”

      “Da chi?”

      “Dal quartier generale; devono preparare una nuova sede e devono portarci la loro roba.”

      Kurt e gli altri uomini feriti in grado di camminare furono fatti scendere e lasciati a trovare la strada del ritorno per conto loro, mentre gli odiati generali e il loro staff viaggiavano comodamente allontanandosi dalla battaglia. Si unì al gruppo di uomini abbattuti, che si trascinavano verso casa, infreddoliti e affamati. Uomini accecati dai gas – spesso i loro stessi gas rimandati indietro quando il vento cambiava – con gli occhi coperti da bende sporche, erano guidati da uomini che vacillavano sulle stampelle o con le braccia che erano state strappate dai loro corpi. Uomini feriti meno gravemente che potevano camminare, come Kurt, furono costretti a trasportare barelle con uomini feriti in modo orribile che erano distesi a lamentarsi nella loro agonia. Molti morirono semplicemente senza emettere un suono e i loro portantini se ne resero conto solo più tardi, dopo aver trasportato un peso morto per chilometri. I loro corpi furono lasciati per strada, per essere raccolti in seguito, forse. Tutti erano sudici. Gli scarponi stavano andando a pezzi e molti degli uomini furono obbligati a zoppicare a piedi scalzi sul terreno dissestato. Il suono dei loro movimenti strascicati era accompagnato da una corrente sotterranea di sofferenza umana mentre le urla dei feriti si mischiavano in un'armonia infernale di dolore e sconforto.

      La campagna era rovinata e distrutta dalla devastazione delle battaglie precedenti. Allora il vittorioso esercito tedesco aveva marciato in Francia, credendo che avrebbe raggiunto Parigi prima del Natale del 1914, solo per essere fermato e rimandato nelle posizioni difensive che costituirono l'inferno del massacro moderno delle trincee.

      La linea degli uomini che arrancava faticosamente verso la propria patria non aveva luci se non i piccoli bagliori rossi delle poche sigarette che alcuni fortunati erano riusciti a mantenere asciutte. Quando la luce era troppo poca per essere in grado di vedere dove li stavano portando i loro passi incerti, si fermavano per la notte e si distendevano, cercando disperatamente di scaldarsi davanti ai fuochi inadeguati composti dai pochi rami secchi che erano in grado di trovare nei boschi e nelle case distrutte che incontravano nel tragitto. Molti di loro morirono, silenziosamente, senza clamore – quasi sollevati dall'essere riusciti a sfuggire all'insostenibile orrore della loro ritirata.

      Alla fine, attraversarono il confine tedesco e raggiunsero i punti di ritrovo dove i cittadini tedeschi, i loro compatrioti che sembravano ben nutriti e in salute, reagirono con orrore per il loro stato. I più fortunati furono finalmente in grado di lavarsi e di pulirsi un po' nei punti di raduno costituiti nelle città, dove i dottori lavorarono tra il terribile odore delle ferite in suppurazione. Le ferite furono curate, gli arti in cancrena furono amputati e fu deciso per alcuni se valesse la pena proseguire oltre. Per i fortunati ci furono i treni pronti a portarli verso le loro case. Kurt prese uno di questi. Osservò la campagna che attraversavano che a poco a poco cambiava, mostrando sempre meno la traccia della ferocia della guerra e dei notevoli movimenti di uomini che avevano calpestato la sua bellezza tra il fango. Alla fine, fuori dalla zona di guerra, passò attraverso le meravigliose foreste della Germania centrale verso la sua casa in Baviera. Arrivò a un centro di accoglienza poco prima della fine della guerra, nel novembre del 1918. Lì fu ufficialmente congedato e, dopo una sessione di “spidocchiamento”, gli fu suggerito di tornare a casa.

      Prima della guerra, aveva vissuto nella casa dei suoi genitori nella città di Neubeuren, in Baviera, e insegnato inglese presso la scuola locale. Sfortunatamente i suoi genitori erano morti durante la guerra e il contratto d'affitto della casa era scaduto. Quando ci tornò, non solo non aveva i soldi per l'affitto ma quando chiamò l'ufficio del proprietario, quest'ultimo piuttosto bruscamente lo informò che la casa era stata data in affitto a un'altra famiglia.

      “Ma noi abbiamo sempre vissuto in quella casa!” protestò.

      “Non posso farci nulla, non avete pagato l'affitto per più di un anno e io i soldi non li fabbrico.”

      “Ero via, a combattere. Sicuramente poteva aspettare. Perché non mi ha scritto per dirmi quello che era accaduto?”

      “Ho scritto. Non è colpa mia se la lettera non le è arrivata. Ho supposto che lei fosse stato ucciso.”

      Kurt imprecò ma non riuscì a persuadere il proprietario. “Lei ne ha a bizzeffe!” disse, “Tutto quello che voleva era prendere i nostri soldi. Bastardo giudeo! Mi vendicherò.”

      Il proprietario rise. “Ah sì? Tu e chi altro? Vattene torni da dove è venuto.” Fece per sbattere la porta in faccia a Kurt, ma lui mise in mezzo il piede. “E le nostre cose? Tutti i nostri mobili e il resto – cose ne è stato?”

      “Andati – venduti per pagare l'affitto.” Scalciò il piede di Kurt e chiuse con forza la porta.

      Kurt se ne andò, imprecando tra sé. Quando passò davanti all'hotel del paese vide un annuncio in vetrina per un posto da vicedirettore. Entrò e andò alla reception dove una giovane donna dall'aria annoiata lo squadrò, notando la sua uniforme consunta e il suo aspetto sciatto. Non si era fatto la barba per molti giorni e non si era fatto un bagno da quando era arrivato nel centro di accoglienza in Baviera.

      “Sì?” disse.

      “State cercando un vice direttore.”

      Lo guardò di nuovo. “Credo che il posto possa già essere stato preso,” disse, allontanandosi da lui per evitare l'odore del suo corpo.

      “Guardi, ho veramente bisogno di un lavoro. Mi dispiace molto per il mio aspetto. Sono appena tornato dal fronte. É sicura che sia già stato preso?”

      Sembrò un po' più comprensiva e prese il telefono per chiamare il direttore. “C'è un soldato qui, alla ricerca di un lavoro.”

      Ascoltò la risposta. “Sì, glielo ho detto – ma è piuttosto insistente.” Una pausa, “Sì, capisco. Glielo dirò.”

      Coprì il microfono. “Il signor Klein dice che l'unico lavoro che ha è quello di facchino.”

      “Lo prendo” esclamò Kurt.

      “Dice che lo prenderà,” un'altra pausa, “no, certo che non glielo ho offerto.” Pausa. “Chiederò.”

      “Quale è il suo nome, signor…?”

      “Müller, Kurt Müller.”

      Il suo tono cambiò e lo guardò più attentamente. “Müller? Kurt Müller?” Lui annuì. “Non si ricorda di me? Ero nella sua classe – Paula Dietrich?”

      “Paula?” cercò di ricordare. “Paula Dietrich. Certo. Ora mi ricordo” mentì.

      Lei si allontanò e parlò a bassa voce al telefono. Poi si girò di nuovo verso di lui con un sorriso. “Il signor Klein la vedrà ora.” Indicò una porta dall'altra parte della lobby dell'hotel.

      Klein