Barry sembrò interdetto, come se non avesse mai preso in considerazione quell’ipotesi. Scosse la testa lentamente e Mackenzie pensò che stesse per mettersi a piangere. “No. Ma quasi vorrei che fosse così. Almeno darebbe un senso a tutto questo. Perché non conosco nessuno che potesse desiderare la morte di Claire. Lei era così... era molto gentile. La persona più dolce che si possa immaginare.”
Mackenzie sapeva che era sincero, così come sapeva che non avrebbe ottenuto nulla da Barry Channing. Posò uno dei suoi biglietti da visita sul tavolo e lo fece scivolare verso di lui.
“Se le viene in mente qualcosa, la prego di chiamarmi.”
Barry si limitò a prendere il biglietto e annuire.
Mackenzie sentiva che avrebbe dovuto dire qualcos'altro, ma era uno di quei momenti in cui era chiaro che non ci fosse altro da dire. Si diresse verso la porta e, chiudendosela alle spalle, provò una fitta di rimpianto udendo Barry Channing che iniziava a singhiozzare.
Fuori, la pioggia era poco più che una nebbiolina. Mentre tornava alla macchina, Mackenzie chiamò Ellington, desiderando che la pioggia cessasse del tutto. Non avrebbe saputo dire perché la infastidisse tanto, era così e basta.
“Pronto, sono Ellington” disse la voce all’altro capo del telefono. Ellington non guardava mai chi era, prima di rispondere.
“Hai finito di guardare la TV?”
“In effetti, sì” rispose. “Adesso sto lavorando con il vicesceriffo Rising per eliminare dalla lista le persone con cui hanno già parlato. Tu hai qualche novità?”
“No. Ma voglio andare al magazzino in cui è stato trovato il primo cadavere. Puoi farti dare tutte le informazioni da Rising e incontrarmi davanti alla centrale tra una ventina di minuti? E vedi se è possibile metterci in contatto telefonico con il proprietario.”
“D’accordo. Allora a dopo.”
Terminata la telefonata, Mackenzie iniziò a guidare, pensando al fidanzato in lutto che si era lasciata alle spalle... pensando a Claire Locke, sola nel buio, affamata e terrorizzata nei suoi ultimi istanti di vita.
CAPITOLO OTTO
Mackenzie ed Ellington arrivarono da U-Store-It alle 22:10. L'impianto era diverso dal Seattle Storage Solution, in quanto si trattava di un edificio vero e proprio. La struttura stessa sembrava essere un ex capannone, ma l'esterno era stato abbellito da un giardino curato, visibile solo in parte alla luce dei faretti che delimitavano il marciapiede. Avevano avvertito del loro arrivo, e infatti c’era una luce era accesa all'interno, dove il proprietario e direttore del posto li attendeva.
L’uomo, di nome Ralph Underwood, li accolse sulla porta. Era un tipo con gli occhiali, basso e in sovrappeso. Sembrava contento della loro visita e non si sforzò di nascondere che fosse molto preso da Mackenzie.
Li condusse attraverso la parte anteriore dell'edificio, dove si trovavano una modesta sala d'attesa e una sala riunioni ancora più piccola. Aveva fatto un buon lavoro rendendo il posto caldo e accogliente, ma aveva ancora l'odore di un vecchio magazzino.
“Quante unità ci sono qui?” chiese Ellington.
“Centocinquanta” disse Underwood. “Ogni unità ha una porta che dà sul retro, così è più facile caricare e scaricare gli oggetti dall'esterno, piuttosto che dover accedere dalla parte anteriore dell'edificio.”
“Sembra molto funzionale” commentò Mackenzie, che non aveva mai visto un complesso di magazzini all'interno di un altro edificio.
“Al telefono ha detto volevate saperne di più sul corpo che ho trovato due settimane fa, giusto?”
“Esatto” confermò Mackenzie. Si era fatta inviare sul cellulare il dossier da Rising, e da lì lesse: “Elizabeth Newcomb, trent'anni. Secondo il rapporto della polizia, è stata trovata nel suo magazzino, morta a causa di una coltellata all’addome.”
“Non so tutti i particolari” disse Underwood. “Tutto quello che so è che, quando sono arrivato quella mattina e sono andato in giro per il capannone come sempre, ho visto qualcosa di rosso lungo il bordo della porta dell'unità. Avevo capito immediatamente di cosa si trattava, ma ho cercato di convincermi che avevo torto. Invece, quando ho aperto il box, lei era lì, stesa sul pavimento, morta in una pozza di sangue.”
Parlava come se fosse seduto attorno ad un falò a raccontare una storia. Mackenzie lo trovava irritante, ma sapeva anche spesso erano proprio le persone con una tendenza al melodrammatico a rivelarsi buone fonti di informazione.
“Aveva mai trovato niente del genere prima d'ora?” volle sapere Ellington.
“No. Però... ho avuto circa una dozzina di depositi abbandonati. È scritto nel mio contratto che, se l'unità non viene aperta almeno una volta in tre mesi, chiamo l’affittuario per assicurarmi che sia ancora interessato a quello spazio. Se dopo sei mesi non vengo contattato, metto le unità all'asta, compresi gli effetti personali all’interno.”
Mackenzie sapeva che si trattava di una pratica comune, ma le sembrava al limite della legalità.
“A volte le cose che la gente lascia in questi magazzini sono... ecco, inquietanti” proseguì Underwood. “In tre delle unità abbandonate che mi sono capitate, c'erano giocattoli erotici di ogni tipo. Qualcun altro ci teneva quindici fucili, compresi due AK-47. Un’unità doveva essere di un tassidermista, perché dentro c'erano quattro animali impagliati... e non sto parlando di peluche.”
Underwood li accompagnò oltre una porta in fondo all’ingresso. Oltrepassando la soglia, si trovarono direttamente in un corridoio molto ampio. Il pavimento era di cemento e il soffitto si innalzava per sei metri sopra le loro teste. Adesso Mackenzie aveva la certezza che quel luogo fosse stato un capannone di qualche tipo. I magazzini erano divisi in gruppi di cinque, e ogni gruppo era interrotto da un corridoio che correva al lato dell'edificio in entrambi i sensi. Guardando lungo il corridoio centrale, sembravano esserci infinite unità. Adesso che si trovavano all’interno, Mackenzie realizzò che il capannone era enorme, lungo almeno un centinaio di metri.
“L'unità che volete vedere è da questa parte” disse Underwood. Camminarono per circa due minuti, mentre Underwood continuava a parlare degli strani oggetti che aveva trovato in alcune delle unità abbandonate, così come alcuni piccoli tesori, come giochi nuovi di zecca, fumetti rari, e una cassaforte chiusa che conteneva più di cinquemila dollari.
Finalmente si fermò davanti a un'unità contrassegnata come C-2. A quanto pareva, si era preparato in anticipo, perché tirò fuori dalla tasca una sola chiave, che subito inserì. Dopo aver sbloccato la serratura, alzò la porta avvolgibile, rivelando l’interno che puzzava di chiuso. Underwood azionò un interruttore a parete e la luce si accese rivelando una stanza per lo più vuota.
“Non si è presentato nessun familiare a reclamare le sue cose?” chiese Mackenzie.
“Ho ricevuto una chiamata da sua madre, quattro giorni fa” rispose l’uomo. “Prima o poi passerà, ma non ha fissato una data.”
Mackenzie si aggirò nel magazzino, alla ricerca di qualcosa di simile a quello che avevano visto in quello di Claire Locke, ma non trovò niente. Forse Elizabeth Newcomb non aveva lo stesso spirito combattivo di Claire, oppure le prove della sua lotta erano già state ripulite dalla polizia.
Mackenzie andò verso i pochi oggetti accatastati in fondo alla stanza. Per lo più si trattava di contenitori di plastica, etichettati con nastro adesivo e pennarello nero: Libri e riviste, Infanzia, Roba della mamma, Decorazioni natalizie, Vecchie stoviglie.
Anche il modo in cui erano impilati sembrava molto organizzato. C'erano alcune scatole di cartone piene di album fotografici e foto incorniciate. Mackenzie sfogliò alcuni degli album, ma non vide nulla che potesse essere d'aiuto. C’erano solo famigliari sorridenti, viste sulla spiaggia e un cane che, a quanto pareva, doveva esserle stato molto caro.