Reece corse da lui e lo abbracciò. Thor era felicissimo. Udì un mugolio e abbassò lo sguardo per vedere, con suo estremo piacere, Krohn, infagottato nella tunica di Reece. Krohn quasi saltò fuori dalla tunica e Reece lo prese per porgerlo a Thor.
Krohn – il cucciolo di leopardo che Thor aveva salvato – balzò tra le sue braccia, mugolò e gemette leccandogli la faccia, mentre lui lo ricambiava con un abbraccio.
Reece sorrise.
“Quando ti hanno portato via, lui ha cercato di seguirti, ma io l’ho preso per essere certo che fosse al sicuro.”
Thor strinse il braccio di Reece in segno di riconoscenza. Poi rise, mentre Krohn continuava a leccarlo.
“Mi sei mancato, piccolo,” disse Thor ridendo e lo baciò. “Stai buono adesso, o le guardie ci sentiranno.”
Krohn si calmò, come se avesse capito.
“Come hai fatto a scappare?” chiese Reece, sorpreso.
Thor scrollò le spalle. Non sapeva esattamente come rispondere. Si sentiva ancora a disagio a parlare dei suoi poteri, incomprensibili anche per lui. Non voleva che gli altri lo considerassero un tipo strano.
“Ho avuto fortuna, credo,” rispose. “Mi si è presentata un’opportunità e l’ho colta.”
“Sono stupito che la folla non ti abbia fatto a pezzi,” disse Reece.
“È buio,” disse Thor. “Penso che nessuno mi abbia riconosciuto. Non ancora, almeno.”
“Sai che ogni soldato del regno ti sta cercando? Sai che mio padre è stato pugnalato?”
Thor annuì, serio. “Sta bene?”
Il volto di Reece si adombrò.
“No,” rispose cupamente. “Sta morendo.”
Thor si sentì devastato, come se stessero parlando del suo stesso padre.
“Sai che io non centro niente con tutto questo, vero?” chiese Thor speranzoso. Non gli interessava cosa pensassero tutti gli altri, ma aveva bisogno che il suo miglior amico, il figlio più giovane di Re MacGil, sapesse che lui era innocente.
“Certamente,” disse Reece. “Altrimenti non sarei qui.”
Thor sentì un’ondata di sollievo, e strinse le spalle di Reece colmo di gratitudine.
“Ma il resto del regno non sarà così fiducioso come sono io,” aggiunse Reece. “Il posto più sicuro per te è lontano da qui. Ti darò il mio cavallo più veloce, una scorta di viveri e ti farò fuggire. Devi nasconderti fino a che tutto questo trambusto non si sarà quietato, fino a che non troveranno il vero assassino. Nessuno è in grado di riflettere con lucidità ora.”
Thor scosse la testa.
“Non posso andarmene,” disse. “Mi farebbe apparire ancora più colpevole. Devo far capire agli altri che non sono stato io. Non posso fuggire dai miei problemi. Devo dimostrare la mia innocenza.”
Reece scosse la testa.
“Se rimani qui ti troveranno. Ti imprigioneranno di nuovo e poi ti condanneranno a morte, se non sarà la gente a ucciderti prima.”
“È un rischio che devo correre,” disse Thor.
Reece lo fissò a lungo, e il suo volto passò da un’espressione di preoccupazione a una di ammirazione. Alla fine, lentamente, annuì.
“Sei coraggioso. E stupido. Molto stupido. È per questo che ti ammiro.”
Entrambi sorrisero.
“Devo vedere tuo padre,” disse Thor. “Mi serve la possibilità di spiegargli, faccia a faccia, che non sono stato io, che io non ho nulla a che vedere con tutto questo. Se deciderà di condannarmi a morte, che così sia. Ma ho bisogno di questa possibilità. Voglio che lui sappia. È tutto quello che ti chiedo.”
Reece lo guardò con serietà, riconoscendo in lui un vero amico. Alla fine, dopo quella che sembrò a Thor un’eternità, annuì.
“Posso portarti da lui. Conosco una via nascosta. Porta alla sua stanza. È rischioso, e una volta che sarai dentro, sarai solo. Non ci sono altre vie d’uscita. A quel punto non potrò più fare niente per te. Potrebbe significare la tua morte. Sei sicuro di voler provare?”
Thor annuì in risposta, con estrema serietà.
“Molto bene allora,” disse Reece, e improvvisamente allungò una mano porgendo a Thor un mantello.
Thor abbassò lo sguardo sorpreso: si rese conto che Reece aveva pianificato tutto da tempo.
Reece sorrise quando Thor risollevò lo sguardo.
“Sapevo che saresti stato sufficientemente testardo da voler rimanere. Non mi sarei aspettato niente di meno dal mio miglior amico.”
CAPITOLO QUATTRO
Gareth camminava su e giù per la sua stanza ripercorrendo con la memoria gli eventi della notte, pervaso dall’ansia. Non riusciva ancora a credere a ciò che era accaduto durante la festa, a come tutto fosse andato storto. Non capiva come quello stupido ragazzo, quello straniero, Thor, si fosse in qualche modo intromesso nel suo complotto di avvelenamento. E come se non bastasse era anche riuscito ad intercettare il calice. Gareth ripensò a quel momento, quando aveva visto Thor saltare e sbattere via il calice dalle mani del Re: in quell’attimo aveva udito il rumore del calice che colpiva la pietra e aveva visto il vino spargersi sul pavimento, confondendo in quel modo anche tutti i suoi sogni e aspirazioni.
In quel momento Gareth era stato rovinato. Tutto ciò per cui aveva vissuto era stato annientato. E quando quel cane aveva leccato il vino ed era caduto a terra morto, aveva saputo che era finita. Aveva visto tutta la sua vita passargli davanti agli occhi, aveva visto che lo avrebbero scoperto, condannato a vivere nelle segrete per aver tentato di uccidere suo padre. O peggio ancora l’avrebbero condannato a morte. Era stato supido. Non avrebbe mai dovuto portare avanti un piano del genere, non avrebbe mai dovuto far visita a quella strega.
Almeno aveva agito velocemente, cogliendo l’occasione e saltando in piedi per primo per scagliare la colpa contro Thor. A ripensarci, era fiero di se stesso per la rapidità con cui aveva saputo agire. Era stato un attimo di ispirazione, e con suo stupore sembrava aver funzionato. Avevano trascinato via Thor e poi la festa era continuata perfettamente. Ovviamente niente era stato lo stesso dopo quel momento, ma almeno sembrava che i sospetti fossero tutti ricaduti su quel ragazzo.
Gareth pregò che le cose rimanessero così. Erano decenni che non accadeva un tentativo di uccisione ai danni di un MacGil, e Gareth temeva che ci sarebbe stata un’indagine, che i fatti sarebbero stati analizzati con maggiore profondità. A ripensarci, era stato sciocco a tentare di avvelenare il Re. Suo padre era invincibile. Gareth avrebbe dovuto saperlo. Aveva esagerato. E ora non poteva fare a meno di pensare che fosse solo una questione di tempo, e che poi i sospetti sarebbero ricaduti su di lui. Avrebbe dovuto fare di tutto per provare che Thor era colpevole, e farlo condannare a morte prima che fosse troppo tardi.
Almeno Gareth si era in qualche modo riscattato: dopo quel tentativo fallito aveva cancellato l’assassinio dai suoi propositi. Ora si sentiva sollevato. Dopo aver assistito al fallimento del suo complotto, aveva capito che c’era una parte di lui, nel profondo, che non voleva uccidere veramente suo padre, che non voleva avere le mani sporche del suo sangue. Non sarebbe stato Re. Forse non lo sarebbe mai stato. Ma dopo gli eventi della notte, andava bene così. Almeno sarebbe stato libero. Non avrebbe più potuto sostenere tutto quello stress: i segreti, il nascondersi, la costante ansia di essere scoperto. Era troppo per lui.
Mentre camminava avanti e indietro per la stanza e la notte scorreva, finalmente