Kavos, da guerriero veterano che era, approfittò della loro esitazione. Raccolse i suoi uomini e si lanciò all’attacco con uno nuovo slancio e mentre i Pandesiani esitavano si fece strada tra i loro ranghi.
I corpi cadevano a destra e a sinistra, il campo pandesiano in totale confusione, e presto si soldati nemici si voltarono e fuggirono in ogni direzione. Kavos li seguì tutti e li abbatté uno per uno. Fu una carneficina.
Quando il sole fu alto in cielo tutti i Pandesiani giacevano a terra, senza vita.
Mentre calava il silenzio Duncan guardò davanti a sé provando un crescente senso di vittoria, rendendosi conto che ce l’avevano fatta. Avevano conquistato la capitale.
Mentre i suoi uomini gridavano attorno a lui, stringendogli le spalle, esultando e abbracciandosi, Duncan si asciugò il sudore dagli occhi, ancora con il fiato grosso, e iniziò ad esserne certo: Andros era libera.
La capitale era loro.
CAPITOLO SETTE
Alec allungò il collo e guardò in alto, stupito, mentre oltrepassava gli altissimi cancelli ad arco della città di Ur, spinto da folle di persone da entrambe le parti. Vi passò attraverso, Marco al suo fianco, i volti di entrambi pieni di terra per l’interminabile camminata attraverso la Pianura di Spine. Osservò l’altissimo arco di marmo che sembrava raggiungere i trenta metri. Guardò le antiche mura in granito del tempio da entrambe le parti e fu stupito di trovarsi a passare nel mezzo di un tempio che faceva anche da ingresso alla città. Alec vide numerosi devoti inginocchiati di fronte a quelle mura, uno strano miscuglio con il traffico dei commercianti che pure si trovavano lì. Questo lo fece riflettere. Una volta aveva pregato gli dei di Escalon, ma ora non pregava più nessuno. Quale dio vivente, si chiedeva, poteva aver permesso che la sua famiglia morisse? L’unico dio che poteva servire ora era il dio della vendetta, ed era una divinità che era determinato a servire con tutto il cuore.
Alec, sopraffatto da tutti gli stimoli che aveva attorno, vide da subito che quella città era diversa da qualsiasi posto avesse visto, diversa dal piccolo villaggio dove era cresciuto. Per la prima volta dalla morte della sua famiglia si sentiva risospinto in vita. Quel posto era così sorprendente, così vivo, all’interno dei cancelli c’erano altre persone come lui, amici che la pensavano come Marco pronti alla vendetta contro Pandesia. Sollevò lo sguardo osservando tutto con meraviglia, tutta la gente di diversi stili, maniere e razze, tutti che si affrettavano in ogni direzione. Era una vera città cosmopolita.
“Tieni la testa bassa,” sibilò Marco quando ebbero passato il cancello orientale emergendo tra la folla.
Marco lo spinse.
“Lì.” Marco gli indicò in gruppo di soldati pandesiani. “Stanno controllando le facce. Sono sicuro che cercano le nostre.”
Di riflesso Alec strinse il pugno attorno al pugnale e Marco gli mise con fermezza la mano sul polso.
“Non qui, amico mio,” lo mise in guardia. “Questo non è un paesino di campagna ma una città di guerra. Uccidi due Pandesiani al cancello e qualsiasi esercito ti sarà addosso.”
Marco lo guardò con intensità.
“Preferisci ucciderne due?” insistette. “O duemila?”
Alec, comprendendo la saggezza delle parole dell’amico, allentò la presa attorno al pugnale e raccolse tutta la sua volontà per sedare il suo desiderio di vendetta.
“Ci saranno molte possibilità, amico mio,” disse Marco mentre si affrettavano tra la folla con le teste abbassate. “I miei amici sono qui e la resistenza è forte.”
Emersero insieme alla massa passando attraverso il cancello e Alec abbassò gli occhi in modo che i Pandesiani non potessero vederli.
“Ehi, voi!” gridò un Pandesiano. Alec sentì il cuore che gli batteva forte e tenne la testa bassa.
Corsero verso di loro e lui strinse il pugno attorno al pugnale, preparandosi. Ma si fermarono invece da un ragazzo accanto a lui prendendolo per le spalle e controllandogli il volto. Alec fece un respiro profondo, sollevato che non fosse toccato a lui, e passò velocemente oltre il cancello senza essere visto.
Alla fine entrarono nella piazza cittadina e tirandosi indietro il cappuccio Alec guardò all’interno della città restando stupito da ciò che vide. Lì, davanti a lui, si elevavano tutte le meraviglie architettoniche e il traffico di Ur. La città sembrava viva, pulsante, brillante al sole, come se effettivamente emanasse luce. Inizialmente Alec non capiva perché, ma poi si rese conto: l’acqua. Ovunque c’era acqua, la città era attraversata da canali, acqua blu che luccicava sotto il sole mattutino facendo apparire la città come se fosse un tutt’uno con il mare. Nei canali si trovava ogni genere di imbarcazione – barche a remi, canoe, vele – addirittura alcune lucide navi da guerra nere con le bandiere gialle e blu di Pandesia. I canali erano costeggiati da strade di ciottoli, pietre antiche e levigate sulle quali camminavano migliaia di persone che indossavano gli indumenti più disparati. Alec vide cavalieri, soldati, civili, commercianti, paesani, mendicanti, giocolieri, mercanti, contadini e molte altre persone, tutti mescolati insieme. Molti indossavano colori che Marco non aveva mai visto, chiaramente visitatori provenienti dall’altra parte del mare, visitatori del mondo che erano di passaggio a Ur, il porto internazionale di Escalon. In effetti colori e insegne straniere erano visibili su diverse barche che affollavano il canale, come se tutto il mondo si fosse riunito in un unico posto.
“Le cime che circondano Escalon sono così alte che hanno reso la nostra terra inespugnabile,” spiegò Marco mentre camminavano. “Ur possiede l’unica spiaggia, l’unico porto per grosse imbarcazioni che desiderino approdare. A Escalon ci sono altri porti, ma nessuno di così facile accesso. Quindi, quando desiderano farci visita, vengono tutti qui,” aggiunse con un gesto della mano, guardando tutta la gente e tutte le navi.
“È una cosa che ha allo stesso tempo aspetti positivi e negativi,” continuò. “Ci porta commercio e affari da ogni angolo del regno.”
“E l’aspetto negativo?” chiese Alec mentre si stringevano tra la folla e Marco si fermava a comprare un pezzo di carne.
“Rende Ur soggetta agli attacchi via mare,” rispose. “È un punto naturale per le invasioni.”
Alec osservava i contorni della città con ammirazione, considerando tutti i campanili, tutta l’interminabile schiera di altissimi edifici. Non aveva mai visto niente del genere.
“E le torri?” chiese sollevando lo sguardo verso una serie di alte torri contornate da parapetti, che si levavano al di sopra della città davanti al mare.
“Sono state costruite per sorvegliare il mare,” rispose Marco. “Contro le invasioni. Anche se con la resa del re debole sono servite a ben poco.”
Alec era pieno di domande.
“E se non si fosse arreso?” chiese. “Ur avrebbe potuto sostenere un attacco dal mare?”
Marco scrollò le spalle.
“Non sono un comandante,” disse. “Ma so che dei modi ci sono. Siamo sicuramente in grado di difenderci da pirati e razziatori. Una flotta è un’altra storia. Ma nei suoi mille anni di storia Ur non è mai caduta, e questo ti dice qualcosa.”
Lontane campane suonarono in aria mentre continuavano a camminare, mescolandosi con il verso dei gabbiani in alto che volavano in cerchio richiamando l’attenzione. Mentre spingevano passando tra la folla, Alec si trovò con lo stomaco che brontolava e sentì genere di odore di cibo nell’aria. Sgranò gli occhi passando tra file di bancarelle, tutte piene zeppe di merce. Vide oggetti e prelibatezze esotiche che mai aveva visto e si meravigliò della vita cosmopolita di quella città. Tutto era più veloce lì, tutti erano di fretta, la gente passava così rapidamente da fare fatica a osservare tutto mentre gli passavano accanto. Questo gli fece capire da che piccolo paesino era arrivato.
Alec fissò in venditore che offriva