In quel momento vide i medici avvicinarsi al letto. Dovevano averne chiamato un altro, un uomo più anziano, canuto ed erano diretti proprio verso di lei. Quando la videro alzarsi, il tubo sul pavimento e la flebo sul letto, si fermarono subito.
“E’ una specie di scherzo?” chiese il nuovo medico canuto.
Gli altri scossero la testa con enfasi. “Ero con lei quando è uscita dall’ambulanza. I paramedici hanno detto che era messa male, ma quando è uscita dall’ambulanza stava respirando.”
“Ha avuto due dosi di propofol” l’altro aggiunse.
“Come fa a restare seduta in quel modo?” il medico canuto esclamò.
Kate iniziò a sentirsi molto frustrata per il modo in cui stavano parlando di lei, invece che con lei. Era la sola ad aver appena avuto un’esperienza traumatica, e la stavano trattando come un fenomeno da circo.
“Salve” intervenne, sollevata di scoprire che il tubo non le aveva danneggiato la gola. “Penso di sentirmi meglio adesso. Posso andare a casa? Non vedo perché preoccupare la mia famiglia.”
La ragazza cominciò ad alzarsi, ma i medici la rimisero giù.
“No, aspetta. Mi dispiace, ma non puoi andartene finché non ti avremo sottoposta a degli esami. Potresti avere danni cerebrali.”
“Sono certa di no” Kate disse. “Vuole che dica l’alfabeto al contrario o una cosa del genere?”
Il medico canuto guardò gli altri, meravigliato. Infine, le fece la domanda che era sulle labbra degli altri:
“Che cosa sei?”
CAPITOLO SEI
I genitori di Kate non arrivarono in ospedale se non sette ore dopo. Suo padre non aveva potuto (o non aveva voluto) uscire prima dal lavoro. La madre, sebbene fosse l’unica ad aver ricevuto la prima chiamata dall’ospedale, era stata “troppo occupata”. Erano circa le sette di sera, quando tutta la famiglia andò finalmente a trovarla. L’ospedale aveva persino provato a chiamare Madison, che, a diciotto anni, era la cosa più vicina ad un’ “adulta” che potessero trovare, in quanto parente. Ma era troppo impegnata con una gara “importante” come cheerleader dopo la scuola – chiaramente, si trattava di un evento molto più importante della vita di sua sorella – e non era venuta.
In quel lasso di tempo, vari medici e infermieri erano andati e venuti da Kate, ognuno più perplesso dell'altro. Alla fine, decisero che lei stava giocando ad un gioco folle, che aveva simulato l’incidente per ottenere attenzione, una convinzione che i genitori condivisero quando finalmente arrivarono.
“Non c’è assolutamente nulla che non vada in vostra figlia” i medici dissero ai genitori. “Non fisicamente almeno. Ma la ricerca dell’attenzione a questo livello è sintomo di una sorta di disturbo psicologico.”
“Mi sta dicendo di un disturbo psicologico?” la madre chiese.
“Possiamo indicarle uno psicologo, se per voi non è un problema.”
La madre guardò il marito. “Non so se l’assicurazione lo copre.”
Kate osservò tutto dal letto, sentendosi incredibilmente amareggiata e frustrata. Come potevano dire che avesse inventato tutto? C’erano i rapporti dei paramedici che dimostravano che si era rotta ogni singolo osso presente nel corpo! Non era la sorta di cosa che si poteva simulare!
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