“Bene, d’accordo” disse lui eccitato. Si chinò verso di lei, la baciò e disse: “Allora, adesso che facciamo? Accidenti, mi sa che anche così ci sarà comunque qualcosa da organizzare.”
“Immagino che dovremo chiamare il tribunale per fissare un appuntamento” disse Mackenzie. “E uno di noi due dovrà chiedere a McGrath un permesso per la cerimonia. Non io!”
“Maledetta” scherzò Ellington. “Va bene, lo chiamo io.”
Prese il cellulare, come per chiamarlo in quello stesso istante, poi però se lo rimise in tasca. “Forse questa è una conversazione che dovrei avere faccia a faccia con lui.”
Mackenzie annuì e finì di allacciarsi la camicia con mani tremanti. Lo faremo, pensò. Stiamo davvero per farlo…
Si sentiva emozionata, nervosa ed euforica, ed ogni emozione si agitava contemporaneamente dentro di lei. Reagì nell’unico modo che poté, ovvero andando da Ellington e abbracciandolo. Mentre si baciavano, le ci vollero appena tre secondi per decidere che forse ce l’avevano un po’ di tempo per fare quello che lui aveva iniziato poco prima.
La cerimonia si tenne due giorni dopo, il mercoledì pomeriggio. Durò meno di dieci minuti, e si concluse con lo scambio degli anelli che Mackenzie ed Ellington avevano scelto insieme il giorno prima. Il tutto fu così semplice e privo di preoccupazioni che Mackenzie si domandò perché mai le donne si sottoponessero a quell’inferno che erano i preparativi nunziali.
Poiché era necessario almeno un testimone, Mackenzie aveva invitato l’agente Yardley. Non erano mai state amiche, ma era una brava agente e, di conseguenza, una persona di cui Mackenzie si fidava. Fu proprio nel chiedere a Yardley di farle da testimone che Mackenzie ancora una volta rammentò di non avere amici. Ellington era la persona che più si avvicinava a quella definizione e, per quel che la riguardava, era più che sufficiente.
Quando Mackenzie ed Ellington furono nell’atrio del tribunale, Yardley fece loro un breve discorso porgendo i propri auguri, quindi si affrettò ad uscire.
Mackenzie la osservò allontanarsi, chiedendosi perché avesse tanta fretta. “Non dico che sia stata maleducata, ma sembrava che non vedesse l’ora di andarsene” commentò.
“È perché ho parlato con lei prima della cerimonia” rispose Ellington. “Le ho detto di levarsi dai piedi appena finito.”
“Che maleducato. Ma perché?”
“Perché ho convinto McGrath a concederci fino al prossimo lunedì. Ho impiegato tutto il tempo e lo stress che avrei dedicato ai preparativi per le nozze per programmare la luna di miele.”
“Che? Mi prendi in giro?”
Lui scosse la testa in segno negativo. Mackenzie lo avvolse in un abbraccio, non ricordando un altro momento in cui si era sentita tanto felice. Le sembrava di essere una bambina che aveva ricevuto tutto quello che desiderava a Natale.
“Ma quando ci sei riuscito?”
“Per lo più in orario di lavoro” disse con un sorrisino. “Adesso sbrighiamoci. Dobbiamo fare sesso e le valigie. Il nostro aereo per l’Islanda parte tra quattro ore.”
Quella destinazione in un primo momento le parve strana, poi però ricordò la conversazione sulla lista delle cose da fare che avevano avuto quando lei aveva scoperto di essere incinta. Cose che avrebbero voluto fare prima di mettere al mondo un figlio. Una delle proposte di Mackenzie era fare campeggio sotto l’aurora boreale.
“Ok, allora andiamo. Anche perché, per come mi sento in questo momento e visto quello che ho intenzione di fare con te appena siamo a casa, non so se ce la faremo ad arrivare in aeroporto in tempo.”
“Agli ordini, signora” disse lui affrettandosi verso l’uscita. “Ma ho una domanda.”
“E sarebbe?”
Fece un sorrisetto e le chiese: “Adesso posso chiamarti signora Ellington?”
Il cuore di Mackenzie le sobbalzò in petto. “Immagino di sì” disse. Poi lei ed Ellington uscirono dalla porta, entrando nel mondo per la prima volta come coppia sposata.
CAPITOLO DUE
Uccidere non era stato affatto come si era aspettato. Credeva che ci sarebbe stata una fase di che cosa ho fatto? Magari un momento di enorme senso di colpa per aver in qualche modo stravolto la vita di un’intera famiglia. Invece non c’era stato nulla di tutto ciò. L’unica cosa che aveva provato dopo gli omicidi – dopo aver ucciso entrambe le sue vittime – era un opprimente senso di paranoia.
E anche, ad essere onesti, di gioia.
Forse era stato uno stupido ad affrontare tutto in modo così casuale. Si era sorpreso di quanto gli fosse sembrato normale. L’idea l’aveva terrorizzato, almeno fino a quando non aveva stretto il loro collo nelle sue mani – stringendo con forza e rubando la vita da quei bellissimi corpi. La parte migliore era stata vedere la luce nei loro occhi spegnersi. Era stato inaspettatamente erotico, la cosa più vulnerabile a cui avesse mai assistito.
La paranoia, invece, era peggio di quanto avesse immaginato. Non era riuscito a dormire per tre giorni, dopo aver ucciso la prima. Con la seconda, invece, si era preparato. Un paio di bicchieri di vino rosso e un sonnifero subito dopo l’omicidio e aveva dormito a meraviglia.
L’altra cosa che lo infastidiva era quanto fosse stato difficile abbandonare la scena del crimine la seconda volta. Il modo in cui era caduta, il modo in cui la vita era scivolata via dai suoi occhi in un istante… gli aveva fatto desiderare di restare lì a fissare i suoi occhi appena morti per vedere quali segreti celassero. Non aveva mai provato impulsi del genere prima, anche se, a dire il vero, fino a un anno prima non si sarebbe nemmeno mai sognato di uccidere qualcuno. A quanto pareva, oltre ai gusti, poteva capitare di cambiare anche valori morali.
Rifletteva su questo seduto davanti al camino. La casa era avvolta nel silenzio più totale, al punto che poteva sentire il rumore delle proprie dita che si muovevano sul calice di vino. Bevve un sorso di vino rosso osservando il fuoco scoppiettare.
È questa la tua vita, adesso, si disse. Hai ucciso non una, ma due persone. Certo, era necessario. Hai dovuto farlo, altrimenti per te sarebbe finita. Anche se tecnicamente quelle ragazze non meritavano di morire, è stato necessario.
Se lo ripeté più e più volte. Solo così era riuscito a non farsi schiacciare dal senso di colpa. Forse era questo che aveva dato modo alla paranoia di prendere il sopravvento.
Si aspettava che da un momento all’altro la polizia bussasse alla sua porta. O magari una squadra speciale, con tanto di ariete da sfondamento. E la cosa peggiore era che sapeva di meritarselo. Non si illudeva di farla franca. Immaginava che un giorno la verità sarebbe venuta fuori. Era così che andava il mondo, ormai. Non esisteva più la privacy, non potevi vivere la vita che ti eri scelto.
Perciò, quando fosse giunto il momento, era sicuro che avrebbe saputo affrontare il suo destino come un uomo. L’unica questione che rimaneva era: quante ancora ne avrebbe dovute uccidere? Una piccola parte di lui lo implorava di smettere, tentando di convincerlo che il suo lavoro fosse concluso, che non dovesse più morire nessun altro.
Ma lui era convinto che non fosse così.
E il peggio era che la prospettiva di uscire e uccidere di nuovo suscitava in lui un’eccitazione che divampava ardente come il fuoco che aveva davanti.
CAPITOLO TRE
Si rendeva perfettamente conto che era semplicemente dovuto al cambiamento di scena, ma il sesso nella selvaggia natura islandese, proprio sotto il maestoso vorticare dell’aurora boreale, era fenomenale. La prima notte, dopo che lei ed Ellington avevano concluso i festeggiamenti, Mackenzie aveva dormito bene come non le capitava da parecchio tempo. Si era addormentata felice, fisicamente appagata e con la sensazione di una vita che cresceva dentro di sé.
Il mattino seguente si svegliarono e bevvero un caffè amarissimo davanti ad un piccolo falò nell’accampamento.