Volendolo seguire nelle sue escursioni avrei qui da riempire molte pagine, e ripetermi molte volte, poichè in sì lungo volgere d’anni visitò a più riprese quei siti, la cui bellezza maggiormente lo aveva colpito. Aggiungerò soltanto che intervenne a quasi tutte le numerose gite sociali della Sezione di Firenze, compiutesi durante la sua presidenza, visitò più volte le Alpi Apuane e l’Appennino Toscano e Romano, ecc., non limitandosi alle Alpi che cingono l’Italia, da lui tutte sinceramente amate e tanto, da soffrirne quando qualche regione era lasciata nell’oblio. Lo sentiamo perciò, anni addietro, lagnarsi quando le Alpi Marittime erano trascurate ed esporci in un articolo pubblicato sulla «Rivista Mensile» quali sono le opere eseguite dai francesi sul loro versante onde attirarvi i viaggiatori, insistendo perchè le Sezioni della Riviera s’assumessero l’impresa di promuovere i miglioramenti necessari alle strade, ai sentieri, agli alberghi, ecc. ecc., coadiuvando in tal modo «con tutte le forze loro quest’opera di riparazione verso tanta parte di regione montana lasciata in un abbandono poco giustificato.»
Era pur solito a seguire nei loro giri tutti i Congressi Alpini che fin dai primi tempi raccomandò con insistenza si tenessero fra i monti, poichè quello era l’unico campo sul quale, sparita ogni differenza di regione, dovevano gli alpinisti italiani conoscersi ed affratellarsi.
Quantunque non avesse salite alte vette, non fosse un «grimpeur», era però un vero alpinista, nel senso più puro ed elevato della parola. Egli non vedeva nelle alte ascensioni una stranezza, una specie di pazzia, come qualcuno anche oggi le dice; voleva anzi che la gioventù si dedicasse a queste grandi e nobili imprese, com’ei le chiamava, e più d’una volta nei suoi discorsi, ed in special modo al Congresso di Varallo, insistè sulla utilità di tali gite e sulla necessità di rinvigorire la nostra fibra, compiacendosi di portare ad esempio i suoi connazionali che nella forza del corpo trovano nuova forza della mente, convinto che lo sviluppo del Club avrebbe aiutato molto il rinnovamento fisico e morale della nostra nazione.
Ed oggi più che mai, in questi critici momenti, quella tipica figura che si mantenne giovane di corpo, di mente e di cuore sino alla morte, avrebbe resi nuovi e sempre maggiori servigi, scuotendoci dall’apatia coll’autorità sua e spronandoci sulla via del bene coll’entusiasmo sincero, inesauribile, che solo possiede chi è profondamente convinto della bontà dell’idea che sostiene.
Mente elevata ed energica, Egli nei monti non vedeva soltanto picchi da salire, ma in loro riassumeva, personificava pensieri ben più alti delle punte imbiancate dalla neve eterna, ritenendoli non fine ad uno scopo, ma mezzo per raggiungere ideali altissimi, sublimi.
Figlio d’un paese libero, legato all’Italia da vincoli d’affetto, predicava l’alpinismo come palestra nella quale ogni italiano avrebbe dovuto imparare a lottare, plasmando nei duri cimenti col monte un saldo carattere nazionale, che valesse un giorno a cancellare quelle meschine separazioni da regione a regione, frutto di lunga servitù. Era un’Italia forte e libera che egli sognava, erano Italiani intelligenti, attivi, che desiderava vedere, ma voleva fossimo Italiani solo, null’altro che Italiani.
Quindi con Felice Giordano si fece iniziatore della prima riunione annuale tenutasi nel 1868 in Aosta sotto la sua presidenza ed intervenne poi a quasi tutti i Congressi Alpini, ch’ei riteneva, come già dissi, efficacissime occasioni per viemmeglio unirci.
Per lui, quella dell’alpinista doveva essere una santa missione, ed io rammento che molte volte mi diceva di ricordarmi sempre quando fossi di passaggio per le alte Alpi, ove lungi dal mondo vive segregata tanta povera gente, di dirle una buona parola o darle un consiglio, procurando di parlare un linguaggio che potesse essere compreso, che valesse a diradare alquanto le tenebre che annebbiano quelle ruvide intelligenze.
Animo pio e generoso, innanzi agli spettacoli sublimi della natura, il suo cuore non dimenticava mai i poveri montanari; tante bellezze non soffocavano in lui il sentimento della pietà, anzi lo acuivano, ed Egli sentiva quanto enorme era il contrasto fra il grandioso spettacolo che ammirava e la miseria di tanti infelici condannati a vita sì triste. Eccolo quindi venire a loro, lentamente spiegare in linguaggio dolce e mite quanto bene potrebbero ritrarre da più razionali colture, unendosi in associazioni, procurando di migliorare questa o quella produzione, costruendo sentieri, riparando le vie di accesso ai principali centri alpini, munendo di linde camerette le luride cantine e trattando cortesemente i pochi forestieri che cominciavano a visitare le alte valli. E se le sue parole non furono dapprima comprese, non se ne sgomentò. «Quanto non si è ottenuto ora—diceva—si otterrà un altr’anno, non m’hanno ancor capito». Ed eccolo nuovamente col sorriso sulle labbra, non più straniero a quelle genti che soccorreva anche con denaro, ritornare a loro, guadagnarsene le simpatie, persuaderle.
Convinto che lo studio dei monti, promovendo frequenti gite, finirebbe col risvegliare negli alpigiani la volontà di meglio conoscerli, Egli riteneva necessario ottenere che mettessero da parte quella diffidenza innata che osteggia l’attuazione di molti progetti, facendo loro capire che esistono realmente società di uomini disinteressati e generosi, i quali con studi e ricerche tentano di far apprezzare il loro paese. Raccomandava quindi agli alpinisti di essere cortesi e gentili, di prendere la più gran cura in special modo nei paesi maggiormente abbandonati, di non urtare le suscettibilità anche dell’uomo il più povero, onde fosse più facile il compimento della nobile idea.
Il suo affetto per gli abitanti dei monti lo aveva reso entusiasta di quegli oscuri benefattori della umanità che sono i parroci di montagna, intenti a sacrificarsi pel bene di quelle popolazioni. Egli non può trattenersi, nei suoi scritti, dall’esprimere ammirazione per loro e dal deplorare che, mentre «s’innalzano ovunque monumenti a grandi ministri, a valenti generali, a celebri predicatori, lo zelante benefattore del suo villaggio è raramente ricompensato, ed alla sua morte neppure una pietra ricorda alla posterità i tentativi incessanti da lui fatti per introdurre qualche utile innovazione nel suo paesello, e qualche po’ di luce nelle menti più scure.» Quindi egli ricorda soventi i nomi di questi uomini valorosi che dedicano intiera la loro esistenza al bene delle alte valli e sono lieti di porsi a disposizione anche degli alpinisti, quando per avventura passano in quei paesi dimenticati.
E questo suo amore pei montanari lo porta ad interessarsi in modo speciale delle guide, i compagni, gli amici degli alpinisti. Egli vorrebbe vederle organizzate ed istruite, ed è perciò che nel 1870, durante una gita da lui fatta a Valtournanche coll’Abate Gorret, le raduna, cerca convincerle e se pure non può dirsi che quel giorno sia riuscito nel suo intento, riuscì certo a far comprendere quanto fossero giuste le sue parole, che in epoca non lontana portarono poi benefici frutti.
Pubblicò a tal fine un opuscolo, che fece distribuire in buon numero di copie ai valligiani di Aosta, col titolo: Observations aux guides des vallées Italiennes, pieno di buone norme, di utilissimi consigli. In modo piano e semplice, come era uso parlare, in esso spiega come devono condursi coi viaggiatori, quali sono i modi da usarsi durante le gite e nelle stazioni alpine, e fa loro comprendere quanto sia grande la responsabilità della guida, ai cui ordini devono rimanere intiere comitive, e come sia necessaria molta abnegazione, perseveranza, pazienza, sangue freddo e coraggio a tutta prova, cuore e mente capace di sostenere tanto peso. E siccome non è facile trovare tali doti tutte riunite nel medesimo individuo, Egli vorrebbe saggiamente che le guide fossero divise in due categorie, quelle di prim’ordine, per le grandi ascensioni e quelle per le passeggiate ed escursioni minori.
Per ingentilire alquanto questi uomini, vagheggiava una scuola da istituirsi nei principali centri, che valesse ad infondere loro un po’ di coltura e più di tutto quel sentimento del dovere, del sacrifizio, che dovrebbe assolutamente essere condizione «sine qua non» per ogni guida.
Rigorosamente classificate, senza riguardi o di regione o di meschine raccomandazioni, allo stesso modo che gli alpinisti si radunano a congresso, avrebbe voluto che il Club mentre non è ancora in grado di creare scuole speciali, avesse radunate le guide migliori a fraterno banchetto, almeno una volta all’anno, in questo od in quel centro alpino, onde si conoscessero, avessero modo di scambiarsi le loro idee, ed in tale occasione con un discorso od una conferenza, si fosse svolto qualche argomento di non dubbia utilità attinente al loro mestiere. Riteneva questo un modo buono e pratico per incoraggiare questi bravi uomini che tanto hanno contribuito a farci conoscere le nostre montagne,