Il levita aveva dedicato i sette giorni seguenti a purificarsi dalla contaminazione del cadavere, secondo le norme mosaiche di purità contenute nel libro della Torah Bemidba: ââ¦chi avrà toccato un cadavere umano sarà immondo per sette giorni. Quando uno si sarà purificato con quell'acqua il terzo e il settimo giorno, sarà mondo; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà mondoâ2.
Compiuto il rito, lâottavo dì sâera imbarcato per Salamina con le sue sementi. A casa aveva scritto e affidato a un corriere una lettera per la moglie e il figlio di Gionata Paolo, con dettagliate notizie sulla tragedia. Non aveva chiesto loro il rimborso, al netto dei pochi spiccioli del defunto che aveva trattenuti, dei costi della sepoltura e del forzato soggiorno a Perge per altri sette giorni: a differenza dello zio, Barnaba considerava il denaro un mero strumento e non una gratificazione del Signore per i giusti; peraltro seguiva sì i 10 comandamenti di Mosè, il precetto della decima al tempio e le norme di purità ma, come moltissimi altri suoi correligionari, non scendeva a minute bigotterie nonostante, secondo i pignoli dottori della Legge, tutti dâorigine farisaica, fossero da ritenersi giusti solo coloro che si sforzavano di rispettare, comâera stato per il padre di Marco, tutti i 613 precetti della Legge nessuno escluso, tra i quali figuravano addirittura obblighi come quello di recitare, ogni volta che ci si ritirava al gabinetto, questa preghiera di benedizione: âSii tu benedetto, Signore nostro re dellâuniverso, che hai fatto lâuomo con sapienza e hai creato in lui molti fori e vani. à rivelato e si conosce dinanzi al Trono della tua Gloria che se uno di questi sâaprisse o uno di quelli si serrasse, sarebbe impossibile vivere e rimanere davanti a te. Benedetto sei tu Signore, che curi ogni corpo e agisci magnificamenteâ3.
Ben si comprende quanto il lutto avesse gettato nellâafflizione il giovane Marco e sua madre. La vedova Maria, quando finalmente sâera data pace, aveva venduto per conto del figlio, unico erede di Gionata Paolo, il bazar di tappeti, causa indiretta della morte del diletto marito e padre, e aveva investito il ricavato in un bellâappezzamento di terreno in aggiunta a quelli già posseduti: aveva ragionato che, così, Marco non avrebbe dovuto fare viaggi lunghi e pericolosi per acquistare merce; aveva inoltre vietato al figliolo dâandare a Perge a visitare la tomba paterna, perché âdi morti in casa, ne basta e avanza già unoâ e, peggio ancora, dâandarvi a cercare gli assassini, come lui avrebbe voluto: âUnâideaâ, lâaveva rimproverato con fermissimo tono, âdel tutto assurda, che poteva venire in mente solo a un bambino come teâ.
Capitolo IV
Erano passati due anni dallâomicidio ed era il venerdì 6 aprile della settimana di Pasqua dellâanno di Roma 783.4 Era tramontato da poco il sole del giovedì e, col primo buio, era iniziato il giorno pasquale sia per il popolo sia per la chiusa setta degli esseni che computavano la data di Pasqua seguendo il calendario solare; invece per le sette dei sadducei e dei farisei il gran giorno sarebbe stato solo lâindomani, ché stabilivano la solenne ricorrenza secondo il calendario lunare, onde per loro il 6 aprile di quellâanno era solo la parasceve, cioè il giorno dei preparativi. 5
Un rabbì originario di Nazareth di Galilea e dodici suoi seguaci sâerano riuniti al primo piano della dimora amica di Marco e di sua madre, per celebrare la cena pasquale entro la città santa di Gerusalemme comâera prescritto a tutti gli ebrei quando possibile. Lâagnello tradizionale di Pasqua che sarebbe stato consumato dai tredici al culmine del solenne convivio era stato comprato dal discepolo del rabbì e tesoriere del gruppo Giuda Bar Simone detto lâIscariota6 e presentato al tempio dovâera stato ritualmente scannato da un ministro del culto.
La vedova di Gionata Paolo aveva conosciuto il maestro nazareno nella prossima Betania in casa delle amiche Marta e Maria e del loro fratello Lazzaro, e affascinata dal carisma dellâuomo ne era divenuta spiritualmente seguace. Per simpatia, gli aveva concesso il proprio cenacolo perché potesse celebrare coi suoi la cena pasquale nella città , al riparo da occhi nemici; la sua vita era infatti minacciata dai membri del consiglio supremo giudaico di Gerusalemme, il sinedrio, in cui sedevano sacerdoti, scribi e certi anziani della comunità , ricchi potenti che tramavano per arrestarlo al più presto e consegnarlo al tribunale romano con unâaccusa passibile di morte, poiché li aveva pubblicamente criticati e ingiuriati sulla piazza antistante il tempio. Per quei potenti non si trattava solo di vendetta, essi lo temevano perché in suoi insegnamenti erano una minaccia continua per loro; egli insegnava infatti, senza mezze parole, che in ogni tempo i capi delle collettività non devono esigere dâesser lodati e serviti ma, al contrario, devono essere a disposizione del popolo; e affermava che lâEterno aveva stabilito che purità e impurità dâun essere umano non stanno nellâadempiere o no i precetti formali della Legge, non nel commissionare per adorazione sacrifici dâanimali7 e offerte di primizie e nello svolgere i rituali inventati da sacerdoti e dottori della Legge per averne prestigio e guadagno, ma nelle scelte dâamore o di odio per il prossimo. Se questi insegnamenti avevano allarmato assai i capi dâIsraele, avevano all'inverso entusiasmato molti come la Maria la vedova.
Il giovane Marco non era fra i seguaci del rabbì, ma essendo ufficialmente il padrone di casa e religiosamente maggiorenne da un biennio,8 avrebbe avuto il diritto di stendersi al posto dâonore sulle stuoie della mensa pasquale assieme agli invitati. Se nâera tuttavia astenuto perché, seguendo gli usi farisaici paterni, egli con la madre e i servi avrebbe festeggiato la Pasqua la sera seguente, e difatti un altro agnello era stato immolato per loro nel tempio. Dunque i tredici erano