"La porta dell'inferno!" urlò, non più rattenendosi, il servente ufficiale vice comandante del drappello: "Egli è in mano al diavo..."
Lo zittii con uno sguardo glaciale e di sèguito glâintimai: "Assuma il comando della scorta! A capofila, presto, e cerchi per noi un'altra via."
Assai di cattiva voglia, come denunciarono l'espressione del viso e il passo impastoiato, ubbidì.
Soggiunsi per tutti: "Forza e speranza!" e a ciascuno indirizzai il mio sguardo sicuro e altero.
âSuperbia!â sentii allora sonarmi nella mente. Mi guardai attorno, per comprendere se pure gli altri avessero udito; ma nessuno lo mostrò; e provai timore: chi aveva parlato?
Seguendo la nuova direzione, dopo un altro gran tempo, ormai quasi al tramonto incontrammo, in una piccola radura, il cavalier Rinaldi, completamente solo. "Di là ", disse, facendoci segno col dito di voltare alla nostra sinistra, verso un sentiero che s'apriva, a poche braccia da noi, tra alti e foltissimi pruni. Indi, senz'altre parole, dopo avermi lanciato uno sguardo di odio, corse via, come se temesse di me, nella direzione opposta.
Per quella strada, dopo non molto, sbucammo finalmente innanzi al mare, su di una spiaggia di rena chiarissima, quasi bianca.
Tutti eravamo stati scelti fra i natatori perché avevamo l'ordine, là giunti, d'immergerci nel pelago e dirigerci verso il largo dove, non visibile da terra, ci attendeva la barca di Pietro.
Abbandonammo dunque le armi sulla sabbia, c'immergemmo e cominciammo a natare. Il sole iniziò a tramontare e presto l'acqua divenne color dell'arancia; e, con gran disgusto, vedemmo, solo allora, bisce e altri luridi rettili attorno a noi a pelo dâacqua e sentimmo i tocchi d'altri di loro sulle gambe e sulla schiena. Per poco, un serpentello sottilissimo a strisce gialle e verdi, non più lungo del mio dito medio, non m'entrò nella bocca. Come non fosse stato bastante, nuvole di zanzare vennero sopra di noi, molte posandosi sulle nostre fronti e sui nostri orecchi a suggerne il sangue. Pregando e incoraggiandoci l'un l'altro, continuammo; e improvvisamente, invece della barca di Pietro scorgemmo, con dolorosissima sorpresa, un'altra riva: non il Mare della Purezza che ci aveva posto a mèta il Papa, dunque, avvolgeva i nostri corpi, ma li circondava una grande laguna d'acqua salmastra.
Natammo a quella spiaggia, ormai quasi sfiniti, mentre un ancor maggiore numero di rettili andava sfiorandoci; e fummo finalmente alla riva.
Che fare adesso? Ci abbattemmo sulla rena, ansanti; ma, dopo un poco, "Proseguiamo!" ordinai imperioso, levandomi in piedi in un improvviso scatto di buon orgoglio. Ormai, era quasi buio.
Così facemmo; percorsi pochi passi tuttavia, un terremoto, stranamente silenzioso, spaccò in un momento la terra sotto di noi, aprendo una voragine che inghiottì Veniero Salati, a me vicino, e ogni altro fuori che me: infatti, in quel medesimo tempo, un braccio uscì da una nebbia lattea che, misteriosamente, s'era formata al mio fianco e la sua mano, che portava al dito l'anello episcopale, m'afferrò.
Qui mi svegliai, nella mia camera da letto: era ancora la notte fra il lunedì e il martedì.
Solo più avanti avrei compreso il senso di quell'incubo. V'erano dentro tanto il mio tempo prossimo che il futuro mio e dei miei collaboratori: anni dopo, papa Paolo IV, in gara con eguali azioni dei protestanti, avrebbe riacceso con la massima diligenza, orrende come mai prima, le cacce agli erranti. Il futuro cardinal Micheli si sarebbe adoperato contro lâomicida volontà papale, riuscendo, quanto meno, a far condannare una parte degli inquisiti alla detenzione anziché a morte: per contenere tutti i reclusi, sarebbe stato necessario ampliare la prigione dellâInquisizione. Il massacro sarebbe stato, comunque, spaventoso; e ne sarebbero stati ammazzati anche il tenente comandante Angelo Rissoni e Veniero Salati, divenuto da un pezzo Giudice Generale al mio posto. Il cardinal Micheli, per diretto ordine di sua Santità , sarebbe stato recluso senza processo, fino alla morte di quellâeccellente papa. Solo io, entrato in convento di clausura un anno dopo quel sogno dantesco, vivendo come semplice, ignorato penitente, avrei superato indenne, fino ad oggi, ogni persecuzione.
Intanto, non intesi immediatamente il senso dell'allegoria; ma questo avvertii subito con sicurezza, che l'esclamazione udita verso la metà dellâincubo, âSuperbiaâ, era un monito, e che m'era venuta dal Bene, non da satana.
Il dì seguente, nel pomeriggio, mentre ero al corpo di guardia intento a discorrere col tenente comandante, un messo, sbirro comunale in Grottaferrata, giunse per me in tribunale. Mi comunicò, davanti agli armigeri, che il piovano curato del suo borgo si sentiva in fine di vita e desiderava parlarmi di gravissima cosa, prima di spirare. Mi scongiurava di non rifiutarmi.
Io avevo davvero in programma, quel giorno, di visitare Mora. Fu dunque assai di mala voglia, dopo non poca esitazione, che dissi al messo di sì; ma essendo innanzi a tanti testimoni, non avrei potuto altrimenti: come Giudice Generale dovevo dare l'esempio del senso del dovere morale e della carità . Domandai però ch'egli m'attendesse, perché non intendevo cavalcare da solo sulla strada insicura, ma neppure sottrarre guardie del tribunale al loro còmpito per ragioni non d'ufficio; e n'ebbi pure la promessa che m'avrebbe riaccompagnato a Roma.
Non potei avvertire la mia amata; ma non essendo quella la prima volta che i miei incarichi mi trattenevano, ero certo che non se ne sarebbe preoccupata. D'altronde, ella ben sapeva di dovere ogni cosa a me e mai di nulla s'era lamentata.
Nel viaggio non incontrammo alcun male e, verso sera, giungemmo al borgo.
Lo sbirro mi condusse direttamente alla canonica. Ci aprì un giovane sacerdote che ebbe un evidente sussulto quando mi qualificai. "Il piovano s'è appena confessato, ed è ancora lucido", mi disse, con debole voce, nel condurmi su per le scale verso la stanza del suo superiore: "Già gli ho somministrato l'Eucaristia e l'Unzione e pare che questa l'abbia fortificato, perché ha riacquistato più forte e definita la parola."
Il miglioramento che, di solito, precede la morte, pensai io spontaneamente; e subito mi turbai: da buon cristiano, accoglievo con fede la capacità taumaturgica dell'Olio Santo; perché, dunque, m'era venuto quel blasfemo pensiero? Non c'erano dubbi, certamente era stato il diavolo. Forse non voleva châio parlassi col curato? Feci il Segno di Croce e iniziai a pregare, proprio mentre stavo entrando dal morente, imitato dal giovane prete e dalla guardia, che era salita dietro di noi. Essi pensarono di certo a un'orazione per quel moribondo, ciò che, d'altronde, pure avevo posto nella mia intenzione.
La stanza, molto piccola, era miseramente arredata, una panca monacale, alcuni scaffali in legno grezzo per i libri e, a giaciglio, tre assi ricoperti di paglia posati su cavalletti. Il locale era appena illuminato da due ceri.
Il curato arciprete pareva appisolato; ma alle nostre preghiere aprì gli occhi e si volse, con espressione di sollievo, verso di me, emettendo un lamento.
"à il cilicio", sussurrò il pretino, appena terminata l'orazione, "lo porta da tanti anni e non ha voluto glielo togliessi neppure ora."
"Ci lasci soli e s'allontani", gli comandai. "Anche tu", indirizzai allo sbirro: "Per oggi, di ritornare non si parla. Riposerò qui. Vieni ad attendermi all'alba; e intanto, chiedine debita autorizzazione al borgomastro, facendo il mio nome."
Una volta soli, il piovano mi fece cenno d'avvicinare la panca al suo giaciglio.
Appena accanto, prese a parlarmi; e a mano a mano che venne dicendomi, io allargai sempre di più la bocca.
Mi narrò d'Elvira, la strega contro cui aveva testimoniato anni prima.
La