I divoratori. Annie Vivanti. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Annie Vivanti
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Любовно-фантастические романы
Год издания: 0
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– Ma chi più al mondo ha sedici anni? – E la sua anima si prosternò, non davanti all'ispirata autrice dei poemi che tutt'Italia adorava, ma davanti alla bambina di cui gli occhi erano così limpidi sotto al volo tranquillo delle sopracciglia.

      E fu la fredda manina della vergine, non il polso del poeta, che liberò il suo cuore dalla stretta di quelle altre mani di donna – oh, le bianche e ben ricordate mani! – dove le vene azzurre e un po' turgide segnavano il corso più lento del sangue: quelle tristi vene azzurre che suscitavano la sua pietà, e strangolavano il suo desiderio.

      – Posso chiamarti col tuo vero nome? – domandò.

      Nancy rise.

      – Chiamami come vuoi.

      – « Desiderata! », – diss'egli lentamente, e il colore abbandonò il suo viso mentre profferiva quel nome.

      Quella sera Nancy scrisse sulla seconda pagina del suo diario una data e un nome. Poi li cancellò. E la Regina rimase sola nel librino celeste e oro.

      Dalla visita al Quirinale in poi, ogni mattina alle otto, il cioccolatte e le lettere di Nancy le venivano portate da Adele stessa, che considerava un ufficio d'onore il poter servire la piccola Saffo d'Italia.

      Entrava piano, in pantofole e vestaglia, colla lunga treccia nera pendente, e poneva il vassoio accanto al letto di Nancy; poi apriva le imposte e veniva a sedere presso la cuginetta. Mentre Nancy, come una principessina indolente, sorbiva col dito mignolo in aria, il suo cioccolatte, Adele apriva la corrispondenza. Leggeva ad alta voce anzitutto i ritagli di giornale che parlavano di Nancy; poi le domande di autografi, che venivano accuratamente messe da parte. Di queste s'incaricava Adele, che, secondo lei, scriveva l'autografo di Nancy meglio di Nancy stessa.

      – Trovo che assomiglia di più alla tua firma quando la scrivo io, che quando la scrivi tu, – diceva Adele.

      Indi le poesie e le lettere d'amore venivano lette e commentate con squillanti risa; e infine le lettere di affari si mettevano via e nessuno le leggeva.

      Era tanta la gente che veniva a parlare a Nancy di ciò che essa aveva scritto, che non le restava più il tempo di scrivere cose nuove.

      Ma la sua alacre fantasia era stimolata da tutti i modernisti e simbolisti, i futuristi ed ultraisti che le recitavano le loro opere. E nelle lunghe sere sotto il chiarore della lampada famigliare, mentre la zia Carlotta e lo zio Giacomo giocavano a briscola, Nino, appoggiati i gomiti alla tavola, leggeva le « Rime Nuove » di Carducci alle tre donne ascoltanti – Valeria, Adele e Nancy – che sedute nelle grandi poltrone, con le palpebre abbassate e le mani in grembo, parevano un trittico delle Stagioni d'Amore.

      Valeria sedeva sempre un po' in disparte, nell'ombra; e se qualcuno le parlava, essa rispondeva piano, con breve dolcezza, e col sorriso spento. Le sue fossette si erano nascoste in due piccole linee che le solcavano le guancie. Valeria non era più Valeria. Era la madre di Nancy. Essa si era ritratta nell'ombra dove seggono le madri, dagli occhi miti che nessuno guarda, dalle bocche dolci che nessuno bacia, dalle mani bianche che benedicono e rinunziano.

      Era la sua creaturina, era il « béby » che l'aveva spinta colà. Inesorabilmente, col primo gesto delle minuscole mani, col primo tocco delle fragili dita premute sul seno materno, la bambina aveva discacciato la madre dal suo posto al sole: l'aveva dolcemente, inesorabilmente, sospinta fuori dalla gioia, fuori dall'amore, fuori dalla vita – verso l'ombra dove seggono le madri con miti occhi di cui nessuno conta le lagrime, con dolci bocche di cui nessuno chiede i baci. Nancy prima d'altri aveva preso il suo posto al sole; che, se quasi sempre i figli, simili ai pettirossi, sono gli inconsci e istintivi carnefici dei loro vecchi, il giovane Genio è un'aquila, che balza inatteso dal nido d'una colomba; e, sbattendo le ali noncuranti e devastatrici, per vivere distrugge, per nutrirsi divora, per creare annienta.

      – Nancy! – esclamò Adele, irrompendo un giorno nella camera della cugina, – c'è qui un inglese che vuol vederti. Vieni presto. Io non capisco una parola di quello che dice.

      – Oh! mandagli la mamma, – rispose Nancy. – Io ho dimenticato tutto il mio inglese. E poi voglio leggere fino in fondo questo pernicioso Gabriele.

      – Tua madre è uscita. Vieni, suvvia!

      E Adele le accomodò con un colpetto e una tiratina i capelli, e poi la spinse nel salotto, dove l'inglese aspettava.

      Questi si alzò – era un uomo alto, tutto sbarbato; e gli occhi erano buoni e ingenui nella sua faccia dura.

      Nancy stese la mano dicendogli in italiano:

      – Buon giorno.

      Egli rispose in inglese:

      – How do you do? – E continuò: – Il mio italiano è molto deficiente. Posso parlare inglese?

      Nancy sorrise.

      – Lei può parlarlo, ma io posso non comprenderlo.

      Però lo comprese assai bene.

      Egli le disse che slava scrivendo per la « Fortnightly Review » un saggio critico sulle poesie di Nancy, con una traduzione in prosa di alcune delle liriche; e desiderava di chiudere l'articolo con un « aperçu » delle sue mire e dei suoi intenti… Che cosa scriveva adesso?

      – Nulla, – fece Nancy con un lieve gesto delle mani, un gesto di inerzia latina che egli trovò grazioso. – Non faccio nulla.

      – Peccato! – disse l'inglese. – Intendo questa vostra dolce parola italiana in ambo i suoi significati, di rammarico e di colpa.

      Nancy abbassò il capo con aria triste.

      – Perchè non lavorate? – domandò severamente lo straniero.

      Nancy ripetè il suo piccolo gesto sconfortato.

      – Non lo so, – disse. E soggiunse con un sorriso: – Noi italiani parliamo tanto che sperdiamo, dicendole, tutte le belle cose che potremmo scrivere.

      Adele, presso la finestra, alzò il capo.

      – Che sia perciò, – disse ridendo, – che la nostra letteratura è così noiosa e i nostri Caffè così divertenti?

      Nancy rise. E l'inglese, rivolto a lei, disse:

      – Ma è possibile che i vostri pensieri, una volta detti, non esistano più?

      – Oh, più, più! – disse Nancy. – Volano via, come… oh! come quei fiori diafani e tondi, quasi di piuma, nei prati… Sapete pure! quelli che a soffiarli vi dicono l'ora? Io sempre sapevo l'ora così, quando ero bambina in Inghilterra. Come si chiamano quei fiori?…

      – « Dandelions », – disse l'inglese. E gli parve che quella infantile reminiscenza la ravvicinasse assai al suo cuore; e subito le parlò della sua casa nella contea di Kent, dove il suo vedovo padre Sir Frederick Kingsley e la sua unica sorellina, vivevano circondati da un vasto parco antico, tutto ombre e silenzi verdi.

      – Mi fate venir la nostalgia, – disse Nancy.

      Il signor Kingsley parve contento.

      – Voi dunque ricordate l'Inghilterra?

      – Oh no! – disse Nancy. – Io ho sempre la nostalgia di cose che non ricordo, o di cose che non ho conosciuto mai.

      Sorrise; ma nei suoi occhi oscillava la tristezza solitaria dell'anima del sognatore.

      L'inglese tossì, perchè gli argomenti astratti lo imbarazzavano.

      Poi, con fare tranquillo e metodico, disse:

      – Spero che lavorerete molto e che farete delle grandi cose.

      Nancy decise che così farebbe. Si alzò per tempo l'indomani, e scrisse nel suo diario: « Incipit vita nova ». Poi fece un elaborato orario per l'impiego di tutte le sue giornate, e una lista delle cose che voleva scrivere: concetti e idee che da mesi le turbinavano nella mente, ma che sempre erano disperse da frivole visite e futili conversazioni.

      Si sentì impaziente, e felice, e smaniosa di cominciare! Il grande foglio di carta bianca le stava davanti come una meravigliosa terra inesplorata, piena di splendide promesse e d'infinite possibilità.