Adinolfo fratello di Pandolfo Principe di Capua ed Abate di Monte Cassino, era travagliato quasi sempre da' Conti d'Aquino, i quali sovente facevano delle scorrerie sopra i beni di quella Badia, onde pensò l'Abate per difendergli valersi dell'opra e del valore de' Normanni[154], i quali assai bene, e con ogni fedeltà adempierono la commessione, che loro era stata data, guardando di continuo le terre di quel monastero da un Borgo appellato Piniatario, non lungi dalla città di San Germano, ove s'erano fortificati. Altri Normanni seguendo Dato s'erano ritirati sotto gli auspicj di Benedetto VIII R. P., il quale aveva loro dato in guardia la Torre del Garigliano, ch'era del dominio della Chiesa; parendo così a Dato d'esser sicuro, posciachè la città di Capua lo copriva dall'insulto de' Greci.
Ma la perfidia di Pandolfo Principe di Capua cagionò nuovi sconcerti in queste regioni, che finalmente tutti terminarono a maggior ingrandimento de' Normanni. Questo Principe, ancorchè mostrasse in apparenza favorir le parti di Errico Imperador d'Occidente come a lui soggetto, nulladimanco nudriva di soppiatto con Basilio Imperador d'Oriente una stretta corrispondenza ed amicizia, e s'avanzò tanto, che finalmente s'indusse a mandar in Costantinopoli le chiavi d'oro, e sottopporre sè, la sua città, e l'intero Principato all'Imperio d'Oriente, in quel modo ch'era prima a quello d'Occidente[155]. L'Imperador Basilio, a cui per gl'interessi suoi molto importava quest'acquisto, tosto avvisonne Bagiano, al quale commise, che per mezzo di Pandolfo proccurasse aver in mano Dato co' Normanni, ch'erano in sua difesa. Questi eseguì con efficacia ed esattezza il comandamento del suo Principe, e perchè Pandolfo non fosse distolto dall'Abate Adinolfo suo fratello, pensò tirare al suo partito anche costui, come lo fece opportunamente per un mezzo assai efficace, qual si fu d'una gran donazione, che fece al suo Monastero dell'intera eredità d'un tal Maraldo di Trani, ch'erasi devoluta al Fisco[156]; ed avendo mandata una grossa somma di denaro a Pandolfo, lo priegò insieme, che se veramente era fedele all'Imperadore Basilio, gli permettesse il passaggio per gli suoi Stati per aver in mano Dato. Gli fa ciò tosto accordato, e posto in ordine un non piccolo esercito venne ad assalir Dato nel Garigliano; gli assediati ancorchè colti improviso si difesero con molto coraggio per due giorni: ma alla fine bisognò, che il valore cedesse alla forza. Bagiano prese la Piazza, e trattò con estremo rigore tutti coloro, che vi trovò, fuorchè i Normanni in riguardo d'una calda preghiera, che l'Abate Adinolfo gliene fece. Ma non usò pietà con Dato; e questo disgraziato Capitano condotto in Bari sostenne il supplizio de' parricidi, essendo stato buttato in mare dentro un sacco.
L'Imperadore Errico avendo intesa l'invasion dei Greci, la perfidia del Principe Pandolfo, e la crudelissima morte di Dato, reputando fra se medesimo, che perduta la Puglia ed il Principato di Capua, se non affrettava i soccorsi, era in pericolo di perdere Roma e tutta l'Italia, tardi avveduto di ciò che Melo tante volte aveagli presagito, scosso finalmente da tanti avvenimenti, avendo unito una grossa armata, e chiamati i Normanni (ch'erano stati a preghiere di Adinolfo lasciati liberi) che militassero sotto le sue insegne, tosto in quest'anno 1022 verso Italia incamminossi[157]. Divise in tre corpi la sua armata: ad uno composto di undicimila soldati prepose per Capitano Poppone Patriarca d'Aquileja, che incamminossi verso Abruzzi, acciò che per quella parte entrasse nel dominio de' Greci: l'altro corpo era di ventimila soldati comandato da Belgrimo Arcivescovo di Colonia (poichè in questi tempi non vi avea niente di stranezza, che i maggiori Prelati della Chiesa si vedessero alla testa degli eserciti, come ben tosto lo vedremo ancora praticare dagli stessi Pontefici romani) e questo fu mandato per la strada di Roma per avere in mano l'Abate Cassinense col Principe di Capua suo fratello, che ambedue venivano imputati presso l'Imperadore della cattura e morte di Dato: l'altro ritenne seco Errico, volendo egli in persona per la Lombardia e per la via della Marca venire a' danni de' medesimi Greci.
L'Abate Adinolfo subito, che fu avvisato, che gli andava contro un esercito intero, abbandonò il monastero, e per salvarsi in Costantinopoli, ad Otranto con gran fretta fuggissene, dove imbarcato nell'acque del mare Adriatico, nel quale Dato era stato sommerso, rotta la nave con tutti i suoi, affogò.
Il Principe suo fratello, quando si vide assediato dentro Capua dall'Arcivescovo di Colonia, dubitando d'esser tradito da' suoi vassalli, che l'odiavano a morte, si diede in man del Prelato, acciocchè il menasse da Errico, in presenza di cui promise provar la sua innocenza[158]. Lo ricevè Belgrimo sotto la sua custodia, e menollo da Errico, il quale allora teneva strettamente assediata Troja in Puglia, città, che i Greci in questo medesimo anno aveano edificata, la quale pochi giorni da poi si rese a lui. Rallegrossi l'Imperadore, e fatti assembrare tutti i suoi Baroni, così italiani come oltramontani, perchè conoscessero della sua causa, fu con universal consentimento sentenziato a morte; ma l'Arcivescovo, sotto la cui protezione si era egli posto, tanto seppe oprar con preghiere e pianti presso l'Imperadore, che la pena di morte la fece commutare in esilio perpetuo; onde fattolo strettamente incatenare, in cotal guisa se lo menò seco in Germania.
Il Principato di Capua fu da Errico conceduto a Pandolfo Conte di Tiano, e nell'istesso tempo investì di questo Contado Stefano, Melo e Pietro, nipoti del celebre Melo, i quali erano sottentrati a sostenere quell'impegno medesimo contro i Greci, che promosse il loro zio[159]. Ecco come gl'Imperadori d'Occidente disponevano del Principato di Capua e de' Contadi dei quali era composto. Ma essendo stato obbligato Errico a richiamar la sua armata per cagione degli eccessivi caldi della Puglia, che gli Alemani, ond'era composta, non potevano più soffrire: confidò i disegni che avea su