Ci lasciò questo insigne Giureconsulto i suoi incomparabili Commentarj sopra i Feudi, che e' compose negli ultimi anni del Re Carlo II, opera nella quale superò se medesimo, e che presso i posteri gli portò que' elogi, e que' soprannomi Princeps, et Auriga omnium Feudistarum, Evangelista feudorum, e simili rapportati dallo Scrittore di sua vita. Sopra la qual opera i nostri professori impiegarono da poi tutti i loro talenti, ed acquistò tanta autorità, che faceva forza non meno che le leggi feudali medesime. Bartolommeo Camerario115 v'impiegò in leggerla ed emendarla quasi tutti gli anni di sua vita, ed egli stesso testimonia, che per lo soverchio studio che vi pose, ci perdette un occhio. Fu non solo appo noi, ma anche presso le nazioni straniere riputato il più gran Feudista, che avesse avuto l'Europa in que' tempi; confuse Baldo e l'obbligò in vecchiezza a darsi allo studio feudale116; e fu non meno da' nostri, che dagli esteri predicato per Principe de' Feudisti.
Scrisse ancora nel Regno di Roberto intorno l'anno 1323 e ne' seguenti, le nostre Costituzioni e sopra i Capitoli del Regno: compilò i Riti della regia Camera, e compose altre opere legali rapportate dal Toppi117 nella sua Biblioteca. Narrasi ancora aver composte alcune opere di teologia e di legge canonica, onde ne riportasse dagli Scrittori, che lo seguirono, i titoli di Excelsus juris Doctor, Theologus maximus, e di Utrisque juris Monarca.
Egli è però vero, che più per vizio de' tempi, nei quali scrisse, che per proprio fu nello stile barbaro e confuso, e senza metodo: ciò che diede occasione ad Alvarotto118 di dire, che fu egli commendabile più tosto per la abbondanza delle cose, che per lo metodo; e che il nostro Loffredo119 si lagnasse, che quelle cose, ch'egli avrebbe potuto trattare con più distinzione e chiarezza, l'avesse esposte così oscuramente, e con poco ordine.
Fiorì ancora negli ultimi anni di Roberto, e vie più nel Regno di Giovanna I sua nipote, un altro insigne Giureconsulto, quanto, e qual fu Luca de Penna. Fu egli coetaneo di Bartolo, come ci testifica egli medesimo nelle sue opere120: fu questo Dottore presso la Regina Giovanna avuto in gran pregio, e nelle cose legali riputato di grande autorità. Compose pienissimi Commentari sopra i tre ultimi libri del Codice 10, 11 e 12121; ma il soggetto che e' si pose ad adornare in que' tempi scarsi d'erudizione, e ne' quali non vi eran molte notizie delle cose romane, de' costumi ed istoria loro, cose tutte necessarie, per quel lavoro, lo fecero cadere in moltissimi errori: non deve però non riputarsi l'impresa degna d'un grande ingegno e di un grande ardire. L'ordine e lo stile, fu un poco più culto di quello che comportava la sua età, e secondo il giudicio di Francesco d'Andrea122, nel metodo di insegnare, e nella chiarezza si lasciò molto indietro Andrea d'Isernia. I Franzesi, non altrimenti, che i Germani tentarono per Pietro delle Vigne, cercarono di togliercelo, e volevano che fosse loro, e nato in Tolosa; ma egli è chiaro più della luce del giorno che fu nostro, e nato in Penna città d'Apruzzo, come Nicolò Toppi l'ha ben dimostrato nella sua Apologia. Nè i più gravi Autori franzesi ce l'han contrastato, fra' quali fu il celebre lor Papiniano Carlo Molineo123, che nella sua glosa parisiense, ed altrove lo chiama Partenopeo, cioè del Regno di Napoli.
Ad Andrea d'Isernia e Luca di Penna bisogna unire anche il famoso Niccolò di Napoli, di cui abbiamo alcune note nelle nostre Costituzioni e Capitoli del Regno. Fu questi Niccolò Spinello detto di Napoli, ma di patria di Giovenazzo, cotanto favorito dalla Regina Giovanna I. Fu Conte di Gioia e G. Cancelliere del Regno ed adoperato dalla Regina ne' più gravi affari di Stato, e quando fu eletto Papa Urbano VI fu da lei mandato a Roma a rallegrarsi col Papa della sua assunzione, ed a dargli ubbidienza124. Questi tre Giureconsulti furono da Camerario125 riputati di tanta autorità e dottrina, che non si ritenne di dire: Nos Andream de Isernia, Nicolaum de Neapoli, et Lucam de Penna, in nostri Regni juribus interpretandis, non aliter venerari, quam veluti humanam Trinitatem.
Fuvvi anche il Viceprotonario Sergio Donnorso M. Razionale della G. C. del quale abbiamo alcune chiose ne' Capitoli del Regno: scrisse anche, come disse, un Commento nelle quattro lettere arbitrarie, del quale fa egli menzione in detti Capitoli: fu egli Viceprotonotario, mentre era nel 1352 C. Protonotario del Regno Napolione Orsino. La famiglia Donnorso fu molto antica in Napoli, e diede il nome ad una delle porte delle città, detta negli antichi tempi Porta Donnorso, la qual era a piè del tempio di S. Pietro a Maiella, e fu poi trasferita presso la chiesa di S. Maria di Costantinopoli nell'ultima ampliazione della città126.
A costoro deve aggiungersi il Giudice Blasio da Morcone della famiglia Paccona: fu egli sotto il Regno di Carlo II discepolo di Benvenuto di Milo da Morcone, il quale, come si disse, fu Lettore dell'Università degli Studj; ed occupò la Cattedra di legge civile. Fece progressi maravigliosi in questo studio, tanto che poi da Roberto successore di Carlo, per la sua dottrina, fu nel 1338 creato suo Consigliere, famigliare e Cappellano. Fu parimente tenuto in somma stima da Carlo Duca di Calabria, il quale in tempo, ch'era Vicario del Regno, gli diede facoltà d'avvocare, e lo costituì Avvocato nelle province di Terra di Lavoro, Contado di Molise, Apruzzo e Capitanata, e ne gli spedì nell'anno 1323 lettere molto favorite, e ripiene di molti encomj e commendazioni127. Ci lasciò molte sue opere, fra le quali la più insigne fu il Trattato, che e' compose delle differenze tra le leggi romane e longobarde, ed i pieni commentarj sopra quelle Leggi. Marino Freccia128 ci testifica aver avuto egli quel Volume M. S. in poter suo, al quale sovente ricorre con citarlo. Questa opera ci ha resi certi, che in questi tempi le leggi de' Longobardi nel nostro Regno non erano ancora andate affatto in disuso. Ancorchè nell'Accademie d'Italia, ed in quella di Napoli le Pandette, e gli altri libri di Giustiniano fossero pubblicamente insegnati, e ne' Tribunali avessero cominciato a prendere forza e vigore, la loro autorità non fu tanta, che ne avesse discacciato affatto le longobarde, siccome avvenne nel Regno degli Aragonesi; nel quale pure, siccome nel Regno degli Spagnuoli, vi rimasero alcune reliquie, onde si diede