che alcun uomo con noi trovasse quice.
Per quella cortesia, che 'n te risplende,
ti prego che di qui ti parti alquanto,
150 ché tua presenza sospette ne rende.
– O ninfa, veder te m'è grato tanto
– risposi a lei – e tanto a te mi lego,
che io non posso andar in alcun canto.
Ma io a me stesso la mia voglia niego
155 contra mia voglia ed al partire assento,
da che ti piace: tanto può 'l tuo priego.
E, da che io mi parto con tormento,
dimmi chi se'; e quando qui ritorno,
prego, del tuo parlar fammi contento. —
160 Per la vergogna arrosciò il viso adorno,
e ch'io non fossi udito ella temea:
però ella mirava intorno intorno.
Poscia rispose: – Io nacqui giá 'n Alfea,
Ilbina ho nome e tra li duri scogli
165 vo seguitando la selvaggia dea.
Piú non ti dico: omai partir ti vogli. —
CAPITOLO XI
Come la dea Minerva discese e seco menò Ilbina ninfa.
Io me n'andai in un boschetto alpestro,
distante a quelle ninfe, a mio parere,
ben quasi una gettata di balestro,
sí ch'io poteva udire e ben vedere
5 tutti lor atti e tutte lor parole,
ed aspettando mi stava a sedere.
Ed ecco, come quando il chiaro sole
tra le men folte nubi sparge il raggio,
che quasi strada in cielo apparir sòle,
10 cosí da cielo ingiú si fe' un viaggio;
e la via lattea, che pel caldo s'arse,
piú che quella in splendor non ha vantaggio.
Le ninfe tutte alla strada voltârse;
e come quando rischiara l'aurora,
15 cosí lucente in cielo un carro apparse.
E poco stando io vidi una signora
splendente quanto il sol su la mattina,
quando dell'orizzonte egli esce fòra,
incoronata come la regina,
20 che venne a Salomon dal loco d'Austro
per udire e saper la sua dottrina.
Quando piú presso ingiú si fece il plaustro,
lo scudo cristallin gli vidi in mano,
lucente quanto al sol nullo alabastro.
25 Ed era sí scolpito e sí sovrano,
che tanto adorno nol fece ad Achille,
per preghi della madre, dio Vulcano.
Appresso al carro stavan le sue ancille,
inclite ninfe, intorno a coro a coro,
30 ed ogni coro in sé n'ha piú di mille.
Non ebbe piú splendor, né piú lavoro
il carro, a cui Fetòn lasciò lo freno,
quando trasse i corsier dal cammin loro.
Vedendo lo splendor tanto sereno,
35 l'alpestre ninfe stavan ginocchioni
con reverenza sul basso terreno.
Quando discesa fu con canti e suoni
la dea Minerva e che fu posto fine
a tanti balli ed a tante canzoni,
40 le ninfe alpestre riverenti e chine
dissono: – O dea, qual vorrai che vegna
di noi e che al tuo regno al ciel cammine? —
Rispose ella: – Di voi ognuna è degna;
ma ora eleggo Ilbina e voglio questa,
45 che venga meco ove da me si regna. —
E, detto questo, con canti e con festa
la coronò d'alloro e poi d'uliva,
e di fin òr gli fe' vestir la vesta.
Poi per la strada, che da ciel deriva,
50 la menò seco pel cammin ad erto,
forte a salire ad uom mortal, che viva.
Io, che m'era occultato in quel deserto
tra dure spine e pungenti cespogli,
il viso alzai di lacrime coperto.
55 – Perché, o Palla, Ilbina mia mi togli?
– dissi piangendo; – e perché a questa volta
d'Ilbina, o dio Cupido, ancor m'addogli? —
E fuora uscii e con fatica molta
per la celeste strada insú mi mossi
60 dietro alla ninfa, la qual m'era tolta.
E ben un miglio cred'io andato fossi,
che la dea Venus si chinò a pietade:
tanto con li miei preghi io la commossi.
Nell'aere apparse con grande beltade;
65 poi scese al carro con faccia proterva,
il qual saliva le splendenti strade.
– Non senza gran cagione, o dea Minerva
– disse Venus, – io vengo tra la schiera,
che segue te e tuo comando osserva,
70