Decameron. Giovanni Boccaccio. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Giovanni Boccaccio
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
Год издания: 0
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strade, di varii albuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene piacevoli a riguardare; in sul colmo della quale era un palagio con bello e gran cortile nel mezzo, e con logge e con sale e con camere, tutte ciascuna verso di sé bellissima e di liete dipinture raguardevole e ornata, con pratelli da torno e con giardini maravigliosi e con pozzi d’acque freschissime e con volte di preziosi vini: cose più atte a curiosi bevitori che a sobrie e oneste donne. Il quale tutto spazzato, e nelle camere i letti fatti, e ogni cosa di fiori quali nella stagione si potevano avere, piena e di giunchi giuncata la vegnente brigata trovò con suo non poco piacere.

      E postisi nella prima giunta a sedere, disse Dioneo, il quale oltre a ogni altro era piacevole giovane e pieno di motti: – Donne, il vostro senno, più che il nostro avvedimento ci ha qui guidati. Io non so quello che de’ vostri pensieri voi v’intendete di fare: li miei lasciai io dentro dalla porta della città allora che io con voi poco fa me ne usci’ fuori: e per ciò, o voi a sollazzare e a ridere e a cantare con meco insieme vi disponete (tanto, dico, quanto alla vostra dignità s’appartiene), o voi mi licenziate che io per li miei pensieri mi ritorni e steami nella città tribolata.

      A cui Pampinea, non d’altra maniera che se similmente tutti i suoi avesse da sé cacciati, lieta rispose: – Dioneo, ottimamente parli: festevolmente viver si vuole, né altra cagione dalle tristizie ci ha fatte fuggire. Ma, per ciò che le cose che sono senza modo non possono lungamente durare, io, che cominciatrice fui de’ ragionamenti da’ quali questa così bella compagnia è stata fatta pensando al continuar della nostra letizia, estimo che di necessità sia convenire esser tra noi alcuno principale, il quale noi e onoriamo e ubbidiamo come maggiore, nel quale ogni pensiero stea di doverci a lietamente viver disporre. E acciò che ciascun pruovi il peso della sollecitudine insieme col piacere della maggioranza e, per conseguente d’una parte e d’altra tratti, non possa, chi nol pruova, invidia avere alcuna, dico che a ciascuno per un giorno s’attribuisca e il peso e l’onore; e chi il primo di noi esser debba nella elezion di noi tutti sia: di quelli che seguiranno, come l’ora del vespro s’avvicinerà, quegli o quella che a colui o a colei piacerà, che quel giorno avrà avuta la signoria; e questo cotale, secondo il suo arbitrio, del tempo che la sua signoria dee bastare, del luogo e del modo nel quale a vivere abbiamo ordini e disponga.

      Queste parole sommamente piacquero e a una voce lei prima del primo giorno elessero; e Filomena, corsa prestamente ad uno alloro (per ciò che assai volte aveva udito ragionare di quanto onore le frondi di quello eran degne e quanto degno d’onore facevano chi n’era meritamente incoronato), di quello alcuni rami colti, ne le fece una ghirlanda onorevole e apparente; la quale, messale sopra la testa, fu poi mentre durò la lor compagnia manifesto segno a ciascuno altro della real signoria e maggioranza.

      Pampinea, fatta reina, comandò che ogni uom tacesse, avendo già fatti i famigliari de’ tre giovani e le loro fanti, ch’eran quattro, davanti chiamarsi; e tacendo ciascun, disse: – Acciò che io prima essemplo dea a tutte voi, per lo quale di bene in meglio procedendo la nostra compagnia con ordine e con piacere e senza alcuna vergogna viva e duri quanto a grado ne fia, io primieramente costituisco Parmeno, famigliar di Dioneo, mio siniscalco, e a lui la cura e la sollecitudine di tutta la nostra famiglia commetto e ciò che al servigio della sala appartiene. Sirisco, famigliar di Panfilo, voglio che di noi sia spenditore e tesoriere e di Parmeno seguiti i comandamenti. Tindaro al servigio di Filostrato e degli altri due attenda nelle camere loro, qualora gli altri, intorno alli loro ufici impediti, attender non vi potessero. Misia, mia fante, e Licisca, di Filomena, nella cucina saranno continue e quelle vivande diligentemente apparecchieranno che per Parmeno loro saranno imposte. Chimera, di Lauretta, e Stratilia, di Fiammetta, al governo delle camere delle donne intente vogliamo che stieno e alla nettezza de’ luoghi dove staremo. E ciascuno generalmente, per quanto egli avrà cara la nostra grazia, vogliamo e comandiamo che si guardi, dove che egli vada, onde che egli torni, che che egli oda o vegga, niuna novella altra che lieta ci rechi di fuori.

      E questi ordini sommariamente dati, li quali da tutti commendati furono, lieta drizzata in piè disse: – Qui sono giardini, qui sono pratelli, qui altri luoghi dilettevoli assai, per li quali ciascuno a suo piacer sollazzando si vada; e come terza suona, ciascun qui sia, acciò che per lo fresco si mangi.

      Licenziata adunque dalla nuova reina la lieta brigata, li giovani insieme colle belle donne, ragionando dilettevoli cose, con lento passo si misero per un giardino, belle ghirlande di varie frondi faccendosi e amorosamente cantando. E poi che in quello tanto fur dimorati quanto di spazio dalla reina avuto aveano, a casa tornati trovarono Parmeno studiosamente aver dato principio al suo uficio, per ciò che, entrati in una sala terrena, quivi le tavole messe videro con tovaglie bianchissime e con bicchieri che d’ariento parevano, e ogni cosa di fiori di ginestra coperta; per che, data l’acqua alle mani, come piacque alla reina, secondo il giudicio di Parmeno tutti andarono a sedere. Le vivande dilicatamente fatte vennero e finissimi vini fur presti; e senza più chetamente li tre famigliari servirono le tavole. Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate erano rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con festa mangiarono. E levate le tavole, con ciò fosse cosa che tutte le donne carolar sapessero e similmente i giovani e parte di loro ottimamente e sonare e cantare, comandò la reina che gli strumenti venissero; e per comandamento di lei Dioneo preso un liuto e la Fiammetta una viuola, cominciarono soavemente una danza a sonare; per che la reina coll’altre donne, insieme co’ due giovani presa una carola, con lento passo, mandati i famigliari a mangiare, a carolar cominciarono; e quella finita, canzoni vaghette e liete cominciarono a cantare. E in questa maniera stettero tanto che tempo parve alla reina d’andare a dormire: per che, data a tutti la licenzia, li tre giovani alle lor camere, da quelle delle donne separate, se n’andarono, le quali co’ letti ben fatti e così di fiori piene come la sala trovarono, e simigliantemente le donne le loro: per che, spogliatesi, s’andarono a riposare.

      Non era di molto spazio sonata nona, che la reina, levatasi tutte l’altre fece levare e similmente i giovani, affermando esser nocivo il troppo dormire il giorno: e così se n’andarono in un pratello, nel quale l’erba era verde e grande né vi poteva d’alcuna parte il sole; e quivi sentendo un soave venticello venire, sì come volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere, a’ quali ella disse così: – Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né altro s’ode che le cicale su per gli ulivi; per che l’andare al presente in alcun luogo sarebbe senza dubbio sciocchezza. Qui è bello e fresco stare, e hacci, come voi vedete, e tavolieri e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che all’animo gli è più di piacere, diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quale l’animo dell’una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell’altra o di chi sta a vedere, ma novellando (il che può porgere, dicendo uno, a tutta la compagnia che ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo. Voi non avrete compiuta ciascuno di dire una sua novelletta, che il sole fia declinato e il caldo mancato, e potremo dove più a grado vi fia andare prendendo diletto: e per ciò, quando questo che io dico vi piaccia, ché disposta sono in ciò di seguire il piacer vostro, faccianlo; e dove non vi piacesse, ciascuno infino all’ora del vespro quello faccia che più gli piace.

      Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare.

      – Adunque, – disse la reina – se questo vi piace, per questa prima giornata voglio che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a grado.

      E rivolta a Panfilo, il quale alla sua destra sedea, piacevolmente gli disse che con una delle sue novelle all’altre desse principio; laonde Panfilo, udito il comandamento, prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominciò così.

      NOVELLA PRIMA

      Ser Cepparello con una falsa confessione inganna un santo frate, e muorsi; e, essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.

      Convenevole cosa è, carissime donne, che ciascheduna cosa la quale l’uomo fa, dallo ammirabile e santo nome di Colui il quale di tutte fu facitore le dea principio. Per che, dovendo io al vostro novellare, sì come primo, dare cominciamento, intendo da una delle sue maravigliose cose incominciare, acciò che, quella udita, la nostra speranza in lui, sì come in cosa impermutabile, si fermi e sempre sia da noi il suo nome lodato.

      Manifesta cosa è che, sì come le cose