A queste parole sopravennero in tanta abbondanza le lagrime, che essa, che ancora più prieghi intendeva di porgere, più avanti non ebbe poter di parlare, ma bassato il viso e quasi vinta piagnendo sopra il seno del conte si lasciò con la testa cadere. Il conte, il quale lealissimo cavaliere era, con gravissime riprensioni cominciò a mordere così folle amore e a sospignerla indietro, che già al collo gli si voleva gittare, e con saramenti a affermare che egli prima sofferrebbe d’essere squartato che tal cosa contro all’onore del suo signore né in sé né in altrui consentisse.
Il che la donna udendo, subitamente dimenticato l’amore e in fiero furore accesa, disse: «Dunque sarò io, villan cavaliere, in questa guisa da voi del mio disidero schernita? Unque a Dio non piaccia, poi che voi volete me far morire, che io voi o morire o cacciar del mondo non faccia.» E così detto, a una ora messesi le mani ne’ capelli e rabuffatigli e stracciatigli tutti e appresso nel petto squarciandosi i vestimenti, cominciò a gridar forte: «Aiuto, aiuto! ché ’l conte d’Anguersa mi vuol far forza.»
Il conte, veggendo questo e dubitando forte più della invidia cortigiana che della sua conscienza, e temendo per quella non fosse più fede data alla malvagità della donna che alla sua innocenzia, levatosi come più tosto poté della camera e del palagio s’uscì e fuggissi a casa sua, dove, senza altro consiglio prendere, pose i suoi figliuoli a cavallo, e egli montatovi altressì quanto più poté n’andò verso Calese.
Al romor della donna corsero molti, li quali, vedutala e udita la cagione del suo gridare, non solamente per quello dieder fede alle sue parole, ma aggiunsero la leggiadria e la ornata maniera del conte, per potere a quel venire, essere stata da lui lungamente usata. Corsesi adunque a furore alle case del conte per arestarlo; ma non trovando lui, prima le rubar tutte e appresso infino a’ fondamenti le mandar giuso. La novella, secondo che sconcia si diceva, pervenne nell’oste al re e al figliuolo; li quali turbati molto a perpetuo essilio lui e i suoi discendenti dannarono, grandissimi doni promettendo a chi o vivo o morto loro il presentasse.
Il conte, dolente che d’innocente fuggendo s’era fatto nocente, pervenuto senza farsi conoscere o essere conosciuto co’ suoi figliuoli a Calese, prestamente trapassò in Inghilterra e in povero abito n’andò verso Londra. Nella quale prima che entrasse, con molte parole ammaestrò i due piccioli figliuoli e massimamente in due cose: prima, che essi pazientemente comportassero lo stato povero nel quale senza lor colpa la fortuna con lui insieme gli aveva recati; e appresso, che con ogni sagacità si guardassero di mai non manifestare a alcuno onde si fossero né di cui figliuoli, se cara avevan la vita. Era il figliuolo, chiamato Luigi, di forse nove anni, e la figliuola, che nome avea Violante, n’avea forse sette; li quali, secondo che comportava la loro tenera età, assai bene compresero l’amaestramento del padre loro e per opera il mostrarono appresso. Il che, acciò che meglio fare si potesse, gli parve da dover loro i nomi mutare, e così fece; e nominò il maschio Perotto e Giannetta la femina. E pervenuti poveramente vestiti in Londra, a guisa che far veggiamo a questi paltoni franceschi, si diedero a andar la limosina adomandando.
E essendo per ventura in tal servigio una mattina a una chiesa, avvenne che una gran dama, la quale era moglie dell’uno de’ maliscalchi del re d’Inghilterra, uscendo della chiesa vide questo conte e i due suoi figlioletti che limosina adomandavano; il quale ella domandò donde fosse e se suoi erano quegli figliuoli. Alla quale egli rispose che era di Piccardia e che, per misfatto d’uno suo maggior figliuolo ribaldo con quegli due, che suoi erano, gli era convenuto partire. La dama, che pietosa era, pose gli occhi sopra la fanciulla e piacquele molto, per ciò che bella e gentilesca e avvenente era, e disse: «Valente uomo, se tu ti contenti di lasciare appresso di me questa tua figlioletta, per ciò che buono aspetto ha, io la prenderò volentieri; e se valente femina sarà, io la mariterò a quel tempo che convenevole serà in maniera che starà bene.»
Al conte piacque molto questa domanda e prestamente rispose di sì, e con lagrime gliele diede e raccomandò molto. E così avendo la figliuola allogata e sappiendo bene a cui, diliberò di più non dimorar quivi; e limosinando traversò l’isola e con Perotto pervenne in Gales non senza gran fatica, sì come colui che d’andare a piè non era uso. Quivi era un altro de’ maliscalchi del re, il quale grande stato e molta famiglia tenea, nella corte del quale il conte alcuna volta, e egli e ’l figliuolo, per aver da mangiare molto si riparavano. E essendo in essa alcun figliuolo, del detto maliscalco e altri fanciulli di gentili uomini e faccendo cotali pruove fanciullesche, sì come di correre e di saltare, Perotto s’incominciò con loro a mescolare e a fare così destramente, o più, come alcuno degli altri facesse, ciascuna pruova che tra lor si faceva. Il che il maliscalco alcuna volta veggendo, e piacendogli molto la maniera e’ modi del fanciullo, domandò chi egli fosse. Fugli detto che egli era figliuolo d’un povero uomo il quale alcuna volta per limosina là entro veniva: a cui il maliscalco il fece adomandare, e il conte, sì come colui che d’altro Idio non pregava, liberamente gliel concedette, quantunque noioso gli fosse il da lui dipartirsi. Avendo adunque il conte il figliuolo e la figliuola acconci, pensò di più non volere dimorare in Inghilterra, ma come il meglio poté se ne passò in Irlanda; e pervenuto a Stanforda, con un cavaliere d’un conte paesano per fante si pose, tutte quelle cose faccendo che a fante o a ragazzo possono appartenere. E quivi, senza esser mai da alcuno conosciuto, con assai disagio e fatica dimorò lungo tempo.
Violante, chiamata Giannetta, con la gentil donna in Londra venne crescendo e in anni e in persona e in bellezza e in tanta grazia e della donna e del marito di lei e di ciascuno altro della casa e di chiunque la conoscea, che era a vedere maravigliosa cosa; né alcuno era che a’ suoi costumi e alle sue maniere riguardasse, che lei non dicesse dovere esser degna d’ogni grandissimo bene e onore. Per la qual cosa la gentil donna che lei dal padre ricevuta avea, senza aver mai potuto sapere chi egli si fosse altramenti che da lui udito avesse, s’era proposta di doverla onorevolmente, secondo la condizione della quale stimava che fosse, maritare. Ma Idio, giusto riguardatore degli altrui meriti, lei nobile femina conoscendo e senza