Si abbassò per respirare tra due auto costose, le luci scintillanti della villa la guidavano. Pur essendo a pochi chilometri dalla città, il country club le sembrava un altro universo, soprattutto quella sera. Più di un anno era passato in un lampo e le sembrava che non fosse trascorso molto tempo da quando aveva percorso la stessa strada con le stesse scarpe e lo stesso vestito nero.
Un’Adara diversa.
Si morse il labbro. No, non ci vado. Soprattutto non stasera che doveva affrontare il pubblico.
I ciottoli rotolanti lasciarono il posto alle pietre lisce del cortile. Gia la aspettava accanto alla fontana centrale gorgogliante con un’anca alzata, carina avvolta come sempre in numerose paillettes e dello chiffon rosso che accecava gli occhi.
“Halloween è passato da due mesi.” Gia inarcò un sopracciglio biondo perfettamente modellato. “Cos’è successo al classico bianco invernale?”
Adara percorse gli ultimi passi che le separavano. Ora non posso più scappare. Gia avrebbe mandato la squadra della SWAT per rintracciarla ed era più che disposta a tenerla sotto tiro. “Il nero è appropriato per ogni occasione. Inoltre, comprende tutti i colori.”
“Anche un buco nero.” Gia sbatté le ciglia a punta, con un’espressione affatto innocente.
“Hai ragione.” Adara tornò indietro verso la sua macchina. “Vado a casa a cambiarmi.”
“Neanche per sogno.” Gia si allungò e le afferrò il braccio, sollevando una brezza di profumo speziato. “Ho previsto la tua solita tragedia del guardaroba e sono venuta preparata.” Con la mano libera, Gia rovistò nella sua pochette e tirò fuori una striscia di materiale lucido. “Stai ferma o ti prendo a schiaffi.”
Adara obbedì riluttante mentre Gia le avvolgeva una fascia a quadri verde e rossa intorno alla vita e la annodava, il Natale resuscitato con due mesi di ritardo. Adara cercò di non rabbrividire quando lo sguardo di Gia si spostò dal nastro al suo viso struccato.
Il sopracciglio biondo si alzò di nuovo. Più veloce di un tiratore scelto, Gia aprì un tubetto di rossetto color scarlatto e lo puntò come un’arma alla bocca di Adara. “Resistere è inutile. Clown o alla moda, Dar. A te la scelta.”
Resistere era allettante. Un look da circo avrebbe potuto tenere alla larga le persone. D’altra parte, sembrare una squilibrata avrebbe offerto alla gente un motivo in più per parlare. Alcuni segreti non avevano bisogno di essere condivisi. Adara si accigliò per una questione di principio.
“Sapevo che potevi essere razionale.” La sessione di trucco finì in tre secondi. Gia sorrise, trionfante. “Ecco. Ora sei perfetta.”
“Perfetta per cosa?” Adara non si preoccupò di nascondere il ringhio nella sua voce.
“Per stare nel mondo dei vivi.” Le parole erano stuzzicanti, ma il tono di Gia era gentile, comprensivo.
Un’unica fitta le trafisse il cuore, tagliente come una freccia, così feroce che minacciò di toglierle il respiro. Era un miglioramento, però. Un anno prima il dolore era stato incessante, debilitante. Riuscì a emettere un sussurro rauco. “Non avrei mai dovuto fargli quella promessa.”
“Come se tu avessi potuto avere altra scelta.” Gia sbuffò, ignorando fortunatamente il suo lapsus emotivo. “Joey avrebbe potuto convincere una suora a spogliarsi - e sarebbe stata lei a pagarlo. Sapeva che saresti rimasta per sempre nella tua bolla, sempre che non avesse forzato il tuo giuramento di vivere davvero dopo che lui”- la sua gola funzionò e il suo sorriso vacillò per un secondo “dopo che se ne fosse andato.”
Adara si concentrò sull’ingresso della villa adornato da colonne. Voleva pensare alla morte di suo fratello quasi quanto voleva essere a questa festa. Si schiarì la gola e con essa l’ombra del dolore. “Vivere davvero equivale a serate con completi imbottiti che usano l’allegria liquida come scusa per un comportamento lascivo? Passi di danza che la mia mente non può non vedere? Schivare il vischio piazzato di nascosto e qualsiasi lingua in attesa?”.
“Stasera sì.” Gia passò il braccio attraverso quello di Adara e la trascinò su per le scale di mattoni. “Fammi vedere che sai ancora sorridere.”
La cognata le mostrò i denti.
Gia rabbrividì. “Lascia stare. Fatti bella e concentrati sul tuo obiettivo.”
“Ho un obiettivo?” Adara pensava che il solo presentarsi fosse una vittoria.
“Sì. Sii carina.”
“Io sono gentile.”
“Con le piante e i bambini, non tanto con gli umani adulti.”
Le piante e i bambini erano facili da trattare. Non si aspettavano conversazioni profonde o manifestazioni emotive. Adara trascinò i piedi, la villa era abbastanza vicina da far trapelare accenni della festa all’interno. Luci rosse e verdi lampeggiavano attraverso le finestre sul marciapiede di pietra e chiacchiere ronzanti filtravano libere, lasciando percepire ogni tanto una risata. Ancora niente musica. Una volta che la band avesse iniziato, avrebbe potuto fingere una scusa per andarsene. Nemmeno il generale Gia era così senza cuore da farla restare a soffrire se fosse iniziata una musica particolare.
“Su con la vita, Dar.” Gia le strinse il braccio aprendo la grande porta di ferro e liberando un’ondata di aria calda. “Ci sarà anche Ian.”
Adara quasi ringhiò. Ian, l’avvocato dal sorriso supersonico che aveva approfittato del dolore di Gia alla festa dell’anno precedente... Squalo schifoso succhiasangue. “Perfetto. Posso castrarlo per Natale. Non è mai troppo tardi per i regali.”
Gia si fermò nell’atrio e la fissò. “Onestamente, non sorridere. Mi piace il mio lavoro. Se fai venire un infarto al signor Hamilton, dovrò farti da assistente e sai che sono allergica al gesso e ai bambini.”
Chiudendo la porta dietro di loro, Adara trasse un lungo respiro misto di pino e cannella. “Che il divertimento abbia inizio.”
* * * *
Garret aveva appoggiato la giacca di pelle sulla custodia del violino e si era sistemato la camicia bianca con i bottoni. Non si era nemmeno cambiato dopo l’atterraggio dell’aereo, caricando invece i suoi bagagli e gli strumenti in una macchina a noleggio, confermando una seconda volta l’odioso invito via e-mail di Ian e dirigendosi qui, al Milionarie Estate. Ian probabilmente pensava che gli avrebbe dato buca - e forse avrebbe dovuto - ma erano passati anni da quando si erano incontrati, anni da quando era stato a casa e, eseguire qualche pezzo a una festa di lavoro rimandata per le vacanze, era il calcio di ricarica di cui aveva bisogno.
Una risata sommessa s’insinuò nel guardaroba, quel suono intimo gli alleviò l’ultima tensione del viaggio dalle spalle, sussurrandogli che aveva fatto la scelta giusta a tornare. Non che dubitasse della sua decisione... Nel momento in cui aveva messo piede sul marciapiede, l’energia aveva ronzato attraverso i suoi stivali come un fulmine. Tre anni nel circuito dei concerti d’oltremare e il grande pubblico distaccato gli avevano rubato un pezzo di sé.
Era tornato a casa per riprenderselo - con gli interessi.
Infilando il violino e l’archetto sotto un braccio, Garret entrò nel corridoio illuminato dalle candele e drappeggiato da ghirlande di chiodi di garofano e seguì il morbido pulsare della musica degli anni ‘60. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che aveva festeggiato il Natale con la famiglia o con gli amici e non gli dispiaceva tornare indietro di un paio di mesi, per recuperare le cose che si era perso durante il tour. Questa festa in particolare stava procedendo da almeno un’ora, abbastanza a lungo perché gli ospiti piacevolmente cotti non si accorgessero di eventuali ritardatari che entravano per i festeggiamenti, ma non così tanto che i vecchietti se ne fossero andati.
Attraversò l’ingresso a doppia porta e fu investito dall’atmosfera vacanziera. Gli invitati