Alla fine, decise che voleva un po’ di azione. E così Esme gli mise semplicemente la mano tra le costole e il bicipite. Le sue nocche sfiorarono la giacca elegante che aveva rovinato con la sua epica distrazione. Quel capo era più fine del suo vestito più costoso. Non che quello rivelasse molto di lei, dal momento che tendeva a fare acquisti nei negozi dell’usato e non sulla Fifth Avenue. Ma ogni pensiero la abbandonò quando le sue dita incontrarono i muscoli di lui.
E... oh, cavolo... quelli sì che erano muscoli!
Quel tizio che lavorava a palazzo non era uno sciattone. C’erano più colline sul suo braccio che valli nel Grand Canyon. Si chiese che cosa facesse per il re. Doveva far parte della security, con quel fisico, la faccia seria e le doti da eroe.
Forse era Capitano della Guardia Reale? Possibile fosse un cavaliere? Nei libri di fiabe, gli uomini che proteggevano i re erano sempre cavalieri. Ma lui aveva detto di non essere un cavaliere. Tuttavia, per lei avrebbe sempre indossato le vesti di un cavaliere dall’armatura scintillante.
E, solo per dimostrare la cosa, le tenne la porta e le permise di precederlo. Chinò anche leggermente la testa mentre le permetteva di superarlo. Il cuore di Esme fece un sussulto e una giravolta e alla fine le si schiantò contro le costole.
Oh, cavolo, era in guai seri.
Al bancone c’era un uomo che li guardava accigliato. Aveva la stessa abbronzatura dorata e lo stesso aspetto bello e cupo di Leo. Era vestito come lui, ma era chiaramente più vecchio. Probabilmente solo di pochi anni. Non c’erano rughe sul suo viso, ma i suoi occhi erano velati dallo sfinimento.
«Ho deciso di mangiare qui la mia torta, Giles» disse Leo. «So che abbiamo un programma da seguire e che dobbiamo arrivare all’ONU per il discorso del re. Non ci metterò troppo.»
Quell'uomo, Giles guardò Leo da sopra la testa di Esme. Poi abbassò lo sguardo su di lei. Se possibile, il suo cipiglio si fece ancora più severo, come se avesse fiutato qualcosa da una fogna. Ma inclinò la testa. Con un’altra occhiata a Esme, lasciò il contenitore di torta da asporto sul bancone e si diresse verso la porta.
«Mi dispiace.» Leo si sedette accanto a lei al bancone. «Giles odia essere in ritardo.»
«Non voglio impedirti di fare il tuo lavoro.» Era una bugia. Sì, voleva tenerlo con sé.
«Abbiamo tutto il tempo per arrivarci. Giles pensa che arrivare in tempo significhi essere in ritardo.»
«Anche io non ho molto tempo. Posso fare solo una breve pausa pranzo. Ancora più breve, ora, visto che ho sfiorato la morte.»
«Che cosa?»
Entrambi si voltarono per guardare la donna dietro il bancone. Aveva sbattuto le mani sul bancone insieme a quell’esclamazione. Il rumore era stato solo un tonfo sordo poiché le sue mani erano coperte da un paio di guanti da forno.
Esme alzò le mani per calmarla. «Era solo un modo di dire, Jan.»
«Spesso sei incline al drammatico, tesoro, ma c’è sempre un minimo di verità.» Jan conosceva Esme fin troppo bene. Capitava, essendo migliori amiche.
«Mentre ti stavo scrivendo, non guardavo dove stavo andando e sono finita nel traffico.»
Gli occhi di Jan si spalancarono e divennero tondi come una teglia da torta.
«Per fortuna, Leo, qui, ha salvato sia la mia vita che il mio telefono da un sicuro disastro.»
«Giuro, Esme, hai sempre la testa tra le nuvole. Devi tenere i piedi e gli occhi per terra.»
Jan fece scivolare una fetta di torta verso Esme. La crosta era scurita da striature nere e il ripieno verde fuoriusciva dai lati. «A proposito di esperienze di pre-morte, ecco la tua torta di mele avvelenate.»
Esme si strofinò le mani, preparandosi ad assaporare il suo piatto preferito.
«Avvelenate?» chiese Leo, il viso contorto dall’orrore. Ma anche con quella smorfia, era ancora diabolicamente bello.
«Oh, è uno scherzo» chiarì Esme. «Porto il nome di una principessa.»
Qualcosa cambiò nei lineamenti di Leo. Esme non riuscì a capire se fosse sorpresa o sgomento.
«La principessa Esmeralda, protagonista nel Gobbo di Notre Dame della Disney.»
«Conosco la storia» disse lui. «Ma lei non mangiava una mela. E non era una principessa. Era una persona comune.»
Esme scrollò le spalle. «Licenza poetica.»
Di nuovo, lo sguardo di lui divenne imperscrutabile.
«Questa è per te, vero?» Jan tirò fuori la torta di Leo dal suo contenitore e la mise su un piatto.
Spezie provenienti da una terra straniera solleticarono il naso di Esme. Il loro calore le scaldò le guance. La dolcezza del profumo le solleticava la lingua, invogliandola a chiederne un boccone.
«Questo è il motivo per cui mi sono fermato» disse Leo. «Non potevo resistere a un tentativo di realizzare un piatto di autentica cucina cordovana. E questo sembra e profuma proprio come una bisteeva.»
Detto ciò infilò la forchetta e prese un morso. Alzò gli occhi al cielo, in estasi, il che era un evento comune lì nella panetteria di Jan.
«Ha lo stesso sapore della bisteeva che fa il cuoco di palazzo» disse Leo, prendendo un altro boccone. «No, meglio. Per favore, non fategli sapere che l’ho detto.»
Jan sorrise da un orecchio all’altro di fronte all’ennesimo cliente convertito alla sua cucina.
«Leo, questa è la mia migliore amica nonché creatrice delle migliori torte del mondo, Jan.»
«Piacere di conoscerti, Jane.»
«No, solo Jan» lo corresse. «Niente “e” in fondo. Sono troppo semplice per chiamarmi Jane. Solo Jan.»
Leo lasciò cadere la forchetta e tese la mano a Jan. Lei gli porse quella con il guanto da forno per una stretta. Lui sorrise e le girò la mano con il palmo rivolto verso l’alto e piantò un bacio sul tessuto ricoperto di margherite.
«Wow» disse Jan. «Questa è una novità.»
Wow davvero. Esme non aveva mai ricevuto un baciamano. Nessun ragazzo lo aveva mai fatto per lei, che lo sognava anche troppo. Forse Leo avrebbe potuto farlo anche con lei, se fosse stata nella posizione giusta quando si erano incontrati.
«Sei stata a Cordoba?» chiese Leo.
«Non sono mai andata da nessuna parte» rispose Jan. «Ho sempre avuto un talento per le spezie. I piccoli chiodi di garofano, i dolci e i fiori possono trasportare le papille gustative di una persona in giro per il mondo e ritorno spendendo poco e niente.»
Leo annuì. «Le mandorle sono così dolci che sembra che tu le abbia colte direttamente da un albero a Maiorca. Il cumino mi scalda la bocca come se fossi steso su una spiaggia del Mediterraneo. E hai usato il piccione invece del pollo.»
«Sono sorpresa che tu riesca a notare la differenza.»
«Hai un dono.»
Leo prese un altro boccone della sua torta. Chiuse gli occhi e gemette di gioia. Non c’era musica nel negozio di torte. Tutto ciò che si sentiva era un coro di gemiti felici dei clienti. Musica per le orecchie di Jan.
La sua amica guardò Leo, poi Esme. Tenacemente single, rivolse a Esme un sorriso di approvazione prima di spostarsi per servire un altro cliente. Esme rivolse la sua attenzione alla sua fetta. Ne mangiò un pezzetto mentre pensava a un argomento di conversazione per mantenere l’interesse dell’uomo che le sedeva accanto.
«Allora, Leo, com’è il re di Cordoba? È vecchio e incline alla follia come Re Lear? È un idiota maldestro come il padre di Jasmine in Aladdin? O è fuori di testa come la Regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie?»
«Hai una bella immaginazione.»