Operatasi, come abbiam veduto, la congiunzione dei due corpi d'armata, già resi vittoriosi in Lombardia, vennero a Reggio ove fermatisi sei giorni si diedero ad ogni licenza di corrotta soldatesca. Incerto il Borbone da qual parte dirigere il suo grande esercito composto di Tedeschi e Spagnuoli allo scopo di poterlo occupare e pagare, credesi dal Guicciardini che il duca Alfonso suggerisse al Borbone che la via unica era di correre a Roma, anche per togliersi al più presto d'addosso questi nuovi amici, e vendicarsi del papa. Il 6 maggio 1527 piombarono in fatti su Roma che per forza fu presa, rimanendo nell'entrare ucciso il duca di Borbone «con uno archibusetto da un suo soldato»[122]. E in tutta la città venne dato quell'orribile sacco e si commisero tanti eccidî e delitti che mai s'udirono i peggiori; «ove il cardinale d'Araceli fu venduto all'incanto in Campo di Fiore come si vende un bue, e furono fatte tante altre cose crudeli ed orrende, che per timore d'essere tenuto bugiardo non ardisco scriverne.... ma ben dirò che quel flagello venisse dalla giusta mano di Dio per li molti peccati e scelleritadi ch'erano in quella cittade, e più in prelati che in laici»[123].
Il papa erasi reso prigione con tredici cardinali; poi fuggì: ma solo saziando in più volte l'avarizia e ingordigia di quelle orde arrabbiate col mandare grandi somme di danaro, e con assolverle d'ogni eccesso commesso, le ridusse a sortire da Roma quasi un anno dopo.
Senza perder tempo il duca Alfonso approfittò della cattività del papa, e portatosi sotto Modena vide finalmente adempiuto il suo lungo desiderio, ottenendone la resa il 6 giugno 1527.
Pochi mesi dopo tornava a far parte della lega santa, attiratovi dall'offerta di condizioni assai favorevoli stipulate a Ferrara col cardinal Cibo che agiva in nome del papa. Ma Clemente VII, poi che venne l'8 dicembre in libertà, e gli fu proposta la ratifica dei patti voluti dal duca, «mostrandosi persuaso che Alfonso fosse stato l'istigatore del Borbone per condursi al sacco di Roma, negò risolutamente di approvare il concordato»[124], e fece le sue proteste per l'occupazione di Modena. Il duca chiese allora di bel nuovo la grazia di Carlo V; indi a rannodare validamente l'amicizia con Francia, mandò ad effetto il matrimonio progettato tra don Ercole figlio primogenito di lui e la principessa Renea di Valois cognata del re Francesco I; matrimonio che fu celebrato in Parigi il 28 giugno 1528.
Trattenutisi gli sposi in Parigi a motivo della peste che ancor durava in Ferrara, solamente nel settembre si posero in viaggio con accompagnamento di alcuni principi reali, e fermatisi molti giorni a Modena fecero il loro pomposo ingresso in Ferrara il 1º dicembre. A festeggiare queste nozze furono rappresentate alcune commedie in un teatro che il duca avea fatto costruire nel suo palazzo secondo l'architettura ideata e diretta dall'Ariosto, il quale vi ordinò una scena stabile che figurava la piazza di Ferrara colle contrade che vi fanno sbocco, i suoi banchi, fondachi e spezierie; e l'Ariosto sovente mostravasi
...... sul proscenio a recitar principii,
E qualche volta a sostenere il carico
Della commedia, e farle servar l'ordine[125].
In questo teatro venne data per la prima volta La Lena dell'Ariosto, e il principe don Francesco, altro figliuolo del duca, recitò in persona il prologo della medesima, come pure diversi gentiluomini non mancarono di sostenervi la parte di attori: chè Alfonso, e quindi tutti di sua corte, si dicevano amanti di questi spettacoli; e il teatro era riescito assai vago e bello: vanto gradito di messer Lodovico.
La commedia suddetta fu pure susseguita dalla rappresentazione della Cassaria ridotta in versi dallo stesso autore, e dicendo egli nel prologo che fu data altra volta vent'anni addietro, viene a confermarsi che la prima recita accadde, come già si disse, nel 1508. — La Lena ebbe altresì una seconda rappresentazione nel 1531 con un nuovo prologo ed una coda di due scene aggiunte in fine.
Il 20 giugno 1529 fu stabilito in Barcellona un trattato di pace e di confederazione tra Carlo V e Clemente VII, obbligandosi fra l'altre cose l'imperatore di far rientrare in potere del papa Modena, Reggio e Rubiera, e di aiutarlo a togliere Ferrara al duca Alfonso, dichiarato ribelle della Chiesa. Nel 5 agosto fu altresì firmata in Cambrai la pace col re di Francia, rimanendo l'Italia abbandonata per intiero all'Austria. A queste notizie il duca doveva stimarsi irreparabilmente perduto: ma come fu preservato altre volte in momenti non meno gravi e supremi, un raggio di speranza non tardò anche allora di arridergli.
Sceso Carlo V per la prima volta in Italia, fu il 5 novembre in Bologna a stabilire d'accordo col papa una pace generale. Nel viaggio passò per Reggio e Modena, e il duca tenne a sua grande fortuna di poter incontrarlo, accoglierlo e servirlo con ogni maniera di magnificenza, esporgli le proprie ragioni, e lusingarsi prima di lasciarlo al confine di averne guadagnato il favore.
Da Bologna il papa fece intimare le volute restituzioni ad Alfonso; ed egli rispose che si sarebbe sottoposto alle decisioni dell'imperatore; gettando con azzardo l'ultima àncora di sua incerta salvezza. In febbraio del 1530 avvenne in quella città per mano di Clemente VII l'incoronazione di Carlo V a imperatore e re d'Italia. Avrebbe il duca desiderato trovarvisi in mezzo a tanti altri principi concorsi allo splendido corteggio; ma il papa nol volle. Ottenne poi di potervi andare nel marzo, e dopo molte dispute fu stipulato un compromesso delle vicendevoli pretese nel giudizio di Carlo V da essere pronunciato fra sei mesi. Nel frattempo Modena fu consegnata all'imperatore che vi si recò in compagnia del duca, indi passarono entrambi a Mantova ove Alfonso I conseguì colla spesa di cento mila ducati d'oro l'intiera investitura di Carpi. — Nell'accompagnamento di molti gentiluomini che il duca ebbe in questi viaggi è molto probabile vi fosse compreso l'Ariosto; essendo poi certo che nel mese di novembre passò col medesimo a Venezia, come si rileva da una lettera che Lodovico scrisse dopo il suo ritorno a Ferrara il 22 gennaio 1531 a nome d'Alessandra Benucci vedova Strozzi (pag. 323). Non comprendiamo poi come il Baruffaldi[126] possa credere che il poeta si portasse a Venezia «per attendere ad una nuova ristampa del suo Furioso», quando il poema non fu ivi riprodotto nel 1530 una sola volta ma quattro, essendo ancora per uscirne una quinta pubblicata in gennaio dell'anno seguente, e quando tutte cinque, compresa quella dei Sessa citata dal Baruffaldi, seguono il testo vecchio e non portano correzioni dell'autore: unicamente il tipografo Zoppino ferrarese introdusse per la prima volta nella sua edizione veneta del 1530 in-4º le figure in legno ad ogni canto.
A questo tempo era certamente seguito il matrimonio dell'Ariosto colla Benucci, poichè vediamo ch'egli di suo pugno scriveva lettere in di lei nome ai parenti della medesima colla più grande intimità. — Dovendo poi tali nozze rimanere avvolte nel segreto, essendo periglioso il dirlo altrui per non perdere le rendite ecclesiastiche de' suoi beneficî, il nostro autore non palesò in quelle lettere il proprio nome (chè una gli fu aperta con frode, — pag. 289), accennandosi soltanto pel cancelliero di madonna Alessandra. Costretto a vivere da lei separato di casa (pag. 296), era non ostante sì al colmo della letizia, che la sovrabbondanza del cuore diffondendosi nella fronte e negli occhi, traevalo a darvi sfogo con un'elegia, nella quale tace la cagione ond'è mosso ma deve assegnarsi al pieno conseguimento della donna che, sebbene inoltrato degli anni, amava con trasporto giovanile; facendoci pur conoscere in altra ancor più espressiva elegia di aver fruito in antecedenza di qualche furto d'amore, non si sa poi con qual dea[127], e come altresì lascia dedurre da parecchi de' suoi sonetti.
Stando al Litta, da questo matrimonio sarebbe nata una figlia l'8 novembre 1531, cui fu posto il nome di Lodovica. Se ciò è vero, convien dire che morisse assai presto, non facendone l'Ariosto parola nel suo ultimo testamento.
Carlo V pronunciava intanto sentenza nella lite tra il papa e il duca di Ferrara, nella quale si confermava a quest'ultimo il possesso di Modena, Reggio e Rubiera, purchè chiedesse perdono a Clemente VII d'ogni mancato riguardo, portasse a settemila ducati d'oro l'annuo censo di Ferrara, e pagasse all'imperatore per la nuova investitura che gli avrebbe fatto di Modena altri cento mila ducati per una volta tanto. Il duca ne fu molto lieto; nè gravandogli la spesa, poichè facendo allora mercanzia si trovava assai danaroso[128], fu sollecito all'adempimento delle condizioni; mentre il papa strepitava e dichiarava che lui vivente non avrebbe