© 2019 AURELIA HILTON
Questo è un romanzo di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o vengono usati in maniera fittizia. Qualsiasi riferimento a persone realmente esistite, o a aziende, affari commerciali, fatti o luoghi specifici sono puramente casuali.
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CAPITOLO PRIMO
La Range Rover superò le porte nere del cancello, che erano state lasciate aperte.
Ci trovavamo in una enorme proprietà di circa dieci acri di grandezza, e della quale non riuscivo a vedere i confini, dal sedile posteriore della macchina. Percorremmo per un centinaio di metri il vialetto d’entrata a ghiaietta, prima di arrivare alla mastodontica proprietà Turner.
Era la villa più grande che avessi mai visto, la cui pianta corrispondeva più o meno a vari condomini messi insieme. Quando l’autista parcheggiò l’auto davanti al portone d’ingresso, sentii il cuore farmi un balzo nel petto.
Stavo per cominciare il mio umile lavoro in una casa così immensa, sicura che non avrei avuto altre occasioni di poterlo fare in ville più grandi di quella. Era così gigantesca che quasi mi metteva in soggezione.
Dopo aver parcheggiato, l’autista venne ad aprirmi la portiera ed io quasi esitai, prima di uscire dall’auto. Mi sentivo tanto fuori posto in una proprietà tanto gigantesca da non riuscire a descriverlo a parole.
L’aria era fredda e il cielo nuvoloso minacciava pioggia. Il sole si era già celato dietro l’enorme villa, ma presto sarebbe completamente scomparso all’orizzonte. Stava per iniziare la notte più eccitante di tutta la mia giovane vita.
Di sicuro l’autista dovette notare la mia ansia, perché cercò di rassicurarmi. Era molto gentile e comprendeva come mi dovessi sentire, davanti ad una proprietà come quella. Mi era difficile immaginare che potesse viverci una sola famiglia, in una villa tanto enorme!
“Non devi avere paura – mi disse, grattandosi il mento barbuto – Mister Turner è una persona davvero squisita! Ti piacerà, così come tu piacerai a lui.”
Non sapevo molto di Len Turner, tranne che era uno degli uomini più ricchi di tutta l’Inghilterra. Possedeva decine di aziende sparse per i cinque continenti. Inoltre aveva cavalli da corsa, case, collezioni di oggetti d’arte e hotel che portavano tutti il suo nome. Inoltre era stato proprietario della più grande collezione di automobili d’epoca di tutti i tempi, qualsiasi tipo di velivolo ed era perfino diventato armatore, solo per dilettarsi con navi da diporto, che utilizzava per gli affari quanto per prendersi una pausa.
Il suo stile di vita era al di là di qualsiasi umana comprensione, e al solo pensiero di stare al cospetto di una persona simile, io che provenivo da una famiglia modesta, mi faceva tremare le gambe.
Le cose che avevo letto su di lui sui giornali o sul web non erano sufficienti per farmi una chiara idea di Mister Turner, e di certo non per prepararmi a quell’incontro. Ero dichiaratamente nel panico, e non sapevo cosa avrei dovuto dire.
L’autista mi fece salire su una piccola scala a chiocciola che conduceva all’ingresso della villa; lì il maggiordomo aprì una possente porta di mogano scuro e s’inchinò leggermente, prima di farci entrare. Nell’enorme atrio in penombra si sentiva solo il rumore dei miei tacchi a spillo sul parquet di legno massiccio, ed io inizialmente non riuscii a scorgere molto.
Lasciai che i miei occhi si adattassero all’oscurità, e solo inseguito notai l’enorme schieramento di opere d’arte sul muro. Non m’intendevo affatto di quadri, ma si trattava sicuramente di quadri deliziosi che ritraevano paesaggi, case e animali con grande gusto.
L’autista ridacchiava sotto i baffi, mentre mi conduceva in un salotto grande quasi quanto un appartamento normale. Nel vasto sottoscala che separava l’atrio dal salone potei addirittura scorgere un piccolo ruscello artificiale!
Proprio sulla parete di fondo del salone iniziava una cascatella e anche qui c’era un vasto schieramento di opere d’arte sui muri. Sul pavimento troneggiava un lussuoso tappeto rosso, ed io fui presa dall’impulso di togliermi le scarpe per non calpestarlo, ma l’autista mi fece segno di no con la testa.
L’unica fonte di luce proveniva dal grande camino a lato della stanza, piena zeppa di mobili imponenti e che sembravano di gran pregio. L’autista m’invitò a sedermi, ma ero così ansiosa che preferii restare in piedi. C’era ancora la remota possibilità che mi avrebbero rispedita a casa, se non fossi piaciuta a Mister Turner.
Ero angosciata al solo pensiero che ciò accadesse. Dubitavo delle mie capacità, considerando il tipo di persona per la quale avrei dovuto lavorare: anche se, nel breve dialogo avuto con lui su skype qualche giorno prima, lui stesso mi aveva rassicurata, dicendomi che le informazioni che aveva preso su di me erano ottime e non vedeva l’ora d’incontrarmi.
I miei genitori non erano molto convinti che lavorare per Mister Turner fosse così importante ma poi, quando avevano sentito che razza di mensilità mi aspettava, avevano chiuso la bocca. Tuttavia, nessuno di loro mi era stato d’aiuto per lenire la mia ansia.
L’autista si sedette accanto al camino e insieme aspettammo pazientemente l’arrivo di Mister Turner. Dopo quindici minuti eravamo ancora lì, io in piedi e lui seduto, a fissare il fuoco in silenzio. L’unico rumore che si sentiva attorno era il suo acre crepitio.
Non c’era da meravigliarsi che Mister Turner fosse tanto occupato da giungere in ritardo. Davanti a me giganteggiava un’enorme libreria stracolma di libri che io, ne ero sicura, non avrei mai capito.
Tutto l’ambiente sembrava un enorme sala da cinema, con le zone in ombra ben particolareggiate. Mentre si era in casa si perdeva quasi il contatto con la realtà esterna, ed era molto facile non accorgersi se fuori era notte o giorno.
Finalmente, una grande porta su un lato del salone si aprì; non l’avevo notata, prima, perché era dello stesso colore del muro. Un uomo alto e brizzolato, con degli occhiali spessi sul naso, entrò nella stanza, con un’espressione corrucciata sul viso rugoso.
L’autista scattò subito in piedi e si tolse il cappello: “Buon pomeriggio, Mister Turner!” esclamò.
L’uomo lo salutò. “A te, Moby.” disse. Poi si rivolse a me, scrutandomi da cima a fondo, senza dire una parola. Rimasi lì, immobile, come una statua di ghiaccio, incapace di muovermi o di spiccicar parola.
“Questa è Janet, signore – disse l’autista – L’ho portata qui, come richiesto.”
Turner si voltò verso di lui. “Per oggi è tutto, Moby.” disse, asciutto.
L’autista s’inchinò leggermente e uscì per una porta di mogano, lasciandoci soli. “Benvenuta nella mia villa – mi disse, brusco, Mister Turner – mi auguro che ti rammenterai del nostro incontro mediatico.”
“Certo, Mister Turner…” farfugliai.
“Io preferisco che il mio staff mi chiami semplicemente Len – disse lui, lasciandosi cadere su una grande poltrona di pelle – per te va bene?”
“Certo, Len.” risposi, questa volta con un sorriso.
“Il tuo lavoro qui non sarà molto impegnativo. Sarai ai miei ordini diretti. Pulirai le mie stanze, gestirai i miei impegni e mi servirai la colazione o il pranzo negli orari indicati. Ogni tanto ti chiederò di accompagnarmi nei miei viaggi, e per il tuo disturbo percepirai una diaria.”
Io annuii.
“Ti verrà assegnato un appartamentino al secondo piano, ma dovrai essere sempre disponibile, ogni volta che ti verrà richiesto. Va bene per te, Janet?”