Presero la metropolitana per la Quinta Strada così che Keira potesse mostrargli Times Square, per poi dirigersi verso l’Undicesima per una passeggiata lungo l’High Line, dove lui avrebbe potuto davvero godersi il panorama dello skyline di Manhattan. Comprarono altro caffè da uno dei venditori lungo il ponte.
Mentre il pomeriggio progrediva, Keira portò Cristiano a SoHo, dove pranzarono in uno dei bar. A Cristiano quella parte della città sembrò piacere in modo particolare, soprattutto le persone modaiole e gli interessanti negozi di vestiti. In effetti sembrava fatta apposta per lui, con i suoi abiti italiani, e trovò per sé una nuova giacca che somigliava molto a quella economica che aveva comprato all’outlet vicino all’aeroporto, con l’unica differenza che quella costava cinquanta dollari invece che dieci.
Mentre stavano pranzando, il telefono di Keira iniziò a squillare. Il suo primo pensiero fu che dovesse essere Bryn, nel tentativo di riattirarli all’appartamento. Ma quando Keira controllò lo schermo, vide che era sua madre. Rispose alla chiamata.
“Cara, ho appena parlato con tua sorella,” annunciò la madre. “Devi portare Cristiano qui per cena.”
“No, mamma,” rispose lei con un sussulto. “Vogliamo passare insieme al giornata. Abbiamo già progettato tutto.”
“Ma sono già stata al negozio,” rispose la donna con un tono triste e lamentoso. “Ho comprato tutto il necessario per fare le lasagne.”
“Perché?” sibilò Keira. “Non me l’hai nemmeno chiesto.”
Ma sapeva il perché. Se sua madre glielo avesse chiesto prima, non avrebbe avuto niente con cui farle pressione, nessun modo per negoziare né per farla sentire in colpa. Invece così aveva il coltello dalla parte del manico. Il rifiuto avrebbe fatto sembrare Keira una figlia viziata e ingrata.
Dall’altra parte del tavolo, Cristiano apparve preoccupato. “Va tutto bene?” chiese.
Lei annuì, cercando di far finta di niente. Parlò di nuovo al telefono. “Mamma, ora devo andare. Ceneremo insieme un’altra volta.”
Sua madre si esibì in un lungo sospiro. “Hai almeno chiesto a Cristiano se gli farebbe piacere conoscermi? Perché non sembra che tu gli abbia dato la possibilità di scegliere.”
Keira digrignò i denti. Roteando gli occhi, guardò Cristiano. “Mia madre vuole che andiamo da lei per cena questa sera. Ma avevamo progettato di andare a quel ristorante che fa le polpette, no? Quindi le sto dicendo che per stavolta passiamo.”
Ma invece della risposta che aveva sperato di ricevere da lui, Cristiano sembrò emozionato dalla prospettiva di incontrare sua madre.
“Possiamo andare a mangiare le polpette quando vogliamo,” disse con un’alzata di spalle. “Se tua madre vuole cucinare per noi, dovremmo permetterglielo. Mi piacerebbe molto conoscerla.”
Keira lasciò cadere la testa tra le mani. Con un sospiro, si arrese.
“Va bene,” disse al telefono. “Hai vinto, mamma. Saremo da te alle otto.”
“Alle sette,” la corresse la madre.
“Alle sette,” ripeté cupa Keira.
“Oh, ma che meraviglia!” esclamò la donna. Ma Keira spense la telefonata prima ancora che finisse di parlare. Alzò lo sguardo su Cristiano. “Non devi essere educato a tutti i costi, lo sai.”
L’uomo scoppiò a ridere. “Non voglio essere educato, Keira. Mi piacerebbe davvero incontrare tua madre.”
“Cucinerà le lasagne,” aggiunse Keira con tono secco. “Posso solo immaginare che sia perché tu sei italiano.”
“Beh, è perfetto,” rispose lui. “Perché io adoro le lasagne.”
Keira sospirò. Magari Cristiano era pronto a incontrare altri membri della sua pazza famiglia, ma lei non lo era di certo. Averlo lì stava diventando sempre più stressante ogni secondo che passava.
CAPITOLO CINQUE
Mallory Swanson viveva ancora nello stesso appartamento dove aveva cresciuto le sue due figlie. Keira provava sempre uno strano senso di nostalgia ogni volta che tornava a casa. Anche se la sua infanzia era stata piena d’amore e di allegria, l’assenza del padre era sempre stata percettibile. Che lui avesse vissuto in quella casa con Bryn e sua madre prima che Keira nascesse era stato un pensiero continuamente presente nella sua mente, perché poco dopo la sua nascita aveva lasciato la famiglia. Lei aveva sempre vissuto sentendosi come se il suo spirito si aggirasse in casa, come se le cose non fossero proprio come dovessero essere.
Lei e Cristiano presero un taxi direttamente in città. Keira non era voluta tornare all’appartamento di Bryn per sopportare un viaggio in tre, tutti stretti in un auto, quindi aveva detto alla sorella che l’avrebbero incontrata lì. Almeno la capacità di Bryn di arrivare in orario era pessima e così avrebbero avuto un po’ di tempo per loro, una volta giunti a destinazione.
Salirono i gradini del palazzo di mattoni rossi. L’appartamento a piano terra era abitato dalla stessa donna anziana che vi aveva vissuto per tutta la sua vita. I suoi numerosi gatti erano sdraiati sul marciapiede o erano seduti sulle ringhiere a miagolare ai passanti.
Keira premette il campanello e un momento più tardi sua madre apparve alla porta. Indossava un grembiule macchiato sopra i vestiti e aveva i capelli in disordine.
“Eccola qui! La mia figlia nomade!” gridò Mallory. Gettò le braccia attorno a Keira e la strinse forte. Poi la lasciò andare e guardò Cristiano. “Beh, ma tu sei veramente affascinante!” esclamò di getto. Abbracciò anche lui. “Ora, veloci, entrate in casa. Ho lasciato le lasagne nel forno e non voglio che si brucino.”
Li sospinse nel palazzo. Keira salì la squallida scalinata che portava all’appartamento del primo piano. Sembrava più stretta del solito, e le pareti verde scuro più macchiate di quanto si ricordasse. Non era d’aiuto il fatto che la maggior parte delle lampadine nel corridoio erano fulminate. Dava all’ambiente un’atmosfera da film horror.
Arrivarono all’appartamento e furono subito assaliti dal calore irradiato dal forno. L’odore forte del formaggio permeava l’aria.
“Quindi è qui che sei cresciuta?” chiese Cristiano, guardandosi educatamente attorno nel modesto appartamento di Mallory.
Keira annuì. Era estremante diverso dalla villetta dei suoi genitori sulle colline di Firenze. Non c’era un solo mobile in casa che sembrasse provenire dalle pagine di una rivista d’arredamento alla moda. Non si poteva nemmeno dire che la casa fosse shabby-chic. Era solo shabby, trasandata.
Si sentì opprimere dal peso della vergogna. Si era impegnata duramente a scuola e al college proprio per lasciarsi alle spalle quel tipo di vita. Temeva che l’impressione che stava dando di sé a Cristiano fosse diversissima da ciò che si doveva essere aspettato quanto aveva accettato di salire sull’aereo con lei. Altro che importante giornalista di New York. Ormai non poteva più nascondere le sue umili origini.
“Perché non vi accomodate?” gridò Mallory al di là di una spalla mentre si rimetteva al lavoro in cucina.
Keira fece cenno verso il tavolo. Sua madre lo aveva coperto con una strana tovaglia di plastica. Cristiano si sedette su una delle sedie. Keira la notò ondeggiare sotto di lui, ma ovviamente l’uomo era troppo educato per dire qualcosa.
Mallory tornò con un piatto da portata fumante e lo appoggiò sul tavolo. La lasagna era una visione agghiacciante, il sugo di pomodoro ribolliva attraverso la pasta e il formaggio era bruciato agli angoli. Doveva essere tutta un’altra cosa rispetto a ciò a cui era abituato Cristiano in Italia!
“Che cosa sono quelle?” chiese Keira, indicando delle piccole escrescenze rotonde sulla superficie.
“Nocciole,”