Isabella Orsini, duchessa di Bracciano. Francesco Domenico Guerrazzi. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066071264
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       Francesco Domenico Guerrazzi

      Isabella Orsini, duchessa di Bracciano

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066071264

       CAPITOLO PRIMO.

       CAPITOLO SECONDO.

       CAPITOLO TERZO.

       CAPITOLO QUARTO.

       CAPITOLO QUINTO.

       CAPITOLO SESTO.

       CAPITOLO SETTIMO.

       CAPITOLO OTTAVO.

       CAPITOLO NONO.

      [pg!7]

       Indice

      LA COLPA.

      Ma Gesù chinatosi in giù scriveva col dito in terra. E com’essi continuavano a domandarlo, egli rizzatosi disse loro: Colui di voi ch’è senza peccato gitti il primo la prima pietra contro a lei. — Gesù le disse: Io ancora non ti condanno: vattene, e da ora innanzi non peccar più.

      S. Giovanni. VIII.

      “Ave Maria! Creatura di cui la vista persuase l’Eterno a offerirsi vittima espiatoria per la stirpe onde nascesti alla giustizia irrevocabile della sua legge; — Vergine, nel seno della quale Dio penetrò come raggio purissimo in acqua pura;1 — Madre, che nel tuo grembo, meglio che nell’Arca Santa, la Divinità conservasti, abbi misericordia di me.

      “Ave Maria! Regina dei cieli: Dio con gli Angioli più amorosi, che mai creasse nella esultanza della sua gloria, ti circondava. Dio pei campi del suo firmamento le stelle più luminose per tessertene una corona sceglieva; sotto i tuoi piedi il sole poneva, e la luna. Cristo riposa sopra il tuo braccio come sopra un trono eccelso a governare il creato. Tu, che puoi tutto, abbi misericordia di me! [pg!8]

      “Ave Maria! Dio versò il suo sangue in osservanza dei fati della sua legge. Tu vinci anche i fati; imperciocchè, quando ti vennero meno le amorevoli inchieste, tu deponesti l’Eterno dal tuo braccio divino, e davanti lui ti prostrasti, e con la preghiera ottenesti quello che non aveva potuto impetrarti la domanda: — perchè quale uomo mai, o qual Dio, potrebbe vedere la propria madre prostrata al suo cospetto, e respingerla sdegnoso da sè?2 Dio è sopra la natura, non contro la natura. Misericordia dunque, misericordia di me!

      “Ave Maria! Solo che tu volga uno sguardo di benignità sopra l’anima del parricida, ecco diventerà candida come quella del pargolo battezzato pure ora. Tu, che hai una lacrima per ogni sventura; — tu, che dalla miseria a soccorrere i miseri apprendesti; — tu, che possiedi una consolazione per ogni tribolato, un buon consiglio per ogni traviato, un soccorso per qualunque fallo, una difesa a qualsivoglia colpa, tu sarai sorda solamente per me?

      “La contemplazione delle tue glorie nell’alto ti dissuade dallo abbassare più oltre i tuoi sguardi a questa valle di lacrime? Le laudi dei celicoli ti hanno reso forse molesti i gemiti dei tuoi divoti? Madre del tuo Creatore, ti sarebbe per avventura incresciuta la tua origine terrena? Lassù nel cielo si costuma egli come nel mondo?....

      “Ahi trista me! Me misera! La mente mi vacilla a modo di ebbra: pur troppo, pur troppo m’inebbriò [pg!9] il dolore, e la parola m’imperversa procellosa per le labbra quasi un vento di bufera.

      “Maria, perdono! Tu sai se infante non aborrendo io bagnarmi i piè nudi per l’erbe rugiadose, lasciato il letto tepido, mi conducessi a sceglierti i fiori, che dai calici aperti bevevano i raggi primi del sole mattutino; tu sai se io vigilava sempre a guisa di vestale, perchè il lume della lampada domestica a te consacrata non si estinguesse; — e se qualche fatto non degno della tua santa vista commisi, io prima ti velai il volto, e poi te ne chiesi perdono. In te sola confido.

      “M’infiamma il sangue, anzi pure le midolle mi consuma e le ossa uno amore....

      “Chi è che ha detto amore? Ho io profferito amore? Ah! per pietà, che nessuno lo sappia.... che nessuno lo intenda.... che le mie orecchie non lo ascoltino dalle mie labbra! Folle! E che importa questo, se ho l’inferno nel cuore? — Sì, un amore infame mi arde tutta, un amore da far piangere gli angioli. Maria, non mi guardare nell’anima! Tutti i confessori del paradiso, non che tu, Vergine immacolata, diventerebbero rubicondi per vergogna a guardarmi nell’anima!

      “E non pertanto questa fiamma così arde segreta, che nessuno contemplando la mia pallida faccia potrebbe dire: — Ecco un’adultera! — Chi dei viventi saprà distinguere in me come tinga la colpa, o come il dolore? In quella guisa, che la lampada sepolcrale [pg!10] arde illuminando gli scheletri umani senza comparire di fuori, così l’amore mi vive nell’anima, splendendo sopra le reliquie miserabili della mia contaminata virtù.

      “Ma in questa fiera battaglia ogni spirito vitale è venuto meno. Già si approssima l’ora in cui si aprirà lo abisso entro il quale rovineranno verecondia di donna, reverenza di marito, decoro di famiglia, e amore di madre, e tutto insomma, e la salute dell’anima con essi!

      “La salute dell’anima! la perdizione eterna! E se io, disperata ormai di superare la corrente, mi lasciassi sopraffare dalle acque....? Se, anima piena di amarezza, io ardissi fuggire dal tristo carcere del corpo....? Se prima della chiamata io disciogliessi le ali fuori della vita, e riparassi sotto il manto del perdono di Dio....? si apriranno esse le braccia di Dio per accogliermi, o mi respingeranno? E di vero, non sono io intieramente corrotta? Dio non penetra nei nostri cuori, e non vede come li abbia rosi il peccato? In questa acerba contesa io difendo quella parte di me che diventerà polvere; l’altra, che ha da vivere immortale, ormai è perduta. Sia che io rimanga, o che fugga; sia che mi abbandoni, o che resista, Isabella, tu sei dannata.... dannata per sempre!

      “Dov’è, chi è colui che pose questa legge iniquissima? Se io non valgo a rompere, voglio mordere almeno questo fato di ferro. Non ho combattuto, e non combatto tuttora? Qual è in me la colpa, se io [pg!11] non posso vincere? In che cosa peccai, se un serpe mentre io dormiva mi si è insinuato nel cuore, vi ha fatto il nido, e lo ha reso a vedersi più tremendo della testa di Medusa? In che peccai, se non mi basta la lena a portare questa croce? I caduti non s’irridono, non si condannano, ma si aiutano. Ebbene, poichè colpa pensata vale colpa consumata, e portano ambedue la pena medesima, scendiamo interi negli abissi del delitto, e moriamo....”

      Queste ed altre parole in parte profferiva, in parte mormorava fra i denti una giovane donna bellissima di forme, davanti la immagine della Madonna, opera divina di Frate Angelico.

      E cotesta immagine, simbolo di celeste verecondia e di casti pensieri, sembrava come sbigottita da preci siffatte; imperciocchè per le parole assai, ma più pel modo col quale venivano pronunziate, paressero e fossero in parte immani empietà. La donna non istava atteggiata a reverenza, ma dritta, proterva, a fronte alta, con occhi torvi ed intenti, affannoso il petto, tremule le