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Indice dei contenuti
SALAFINO E LA CAFFETTIERA MAGICA
HO IMPARATO A VOLARE
Mammina, mammina cara: non vedo l'ora di raccontartelo! Sai, forse non ci crederai, ma ce l'ho fatta. Ci sono riuscita, davvero! Ho imparato a volare.
Proprio come fai tu, tutte le notti, quando mi vieni a trovare nel sonno. Ormai è una vita che ciò avviene - è il nostro piccolo grande segreto. E' una vita che ogni notte aspetto il tuo arrivo nel mio sogno, quando i miei problemi quotidiani, amplificati dalla mia mente, cominciano ad assalirmi insieme a tanti altri immaginari, a diventare pesanti, insopportabili, angosciosi. Allora comincio a scrutare in alto nella speranza di scorgere il tuo viso rassicurante e sorridente, e la speranza ogni volta si realizza. Eccoti arrivare leggera leggera, ti avvicini a me, mi prendi la mano, mi carezzi i capelli e mi consoli. " Quali problemi ti angosciano, bambina mia?" E io ti racconto i miei guai, i miei dubbi, le mie paure. I miei problemi con la scuola, con le amiche, coi ragazzi; le prime delusioni amorose. Le terribili visioni e i mostri onirici. Vicende che sembrano più grandi di me, che mi opprimono e mi schiacciano come una rete che mi imprigiona. E tu hai sempre le parole giuste, un consiglio saggio, un nuovo modo di vedere le cose. E questo mi consente di tirare avanti, di proseguire il sonno serenamente fino al mattino, di affrontare in un modo migliore la situazione il giorno dopo.
" Quando anche tu imparerai a volare, tutto ti sembrerà più semplice", mi dicevi ogni volta. " Da lassù tutti i tuoi problemi ti sembreranno ridicolmente piccoli. Vedrai le cose del mondo e della vita nel loro insieme, da una nuova prospettiva, ognuna col suo significato ed il suo ruolo, e allora capirai. Capirai da sola di non dover aver paura, capirai da sola come affrontare ogni cosa. Troverai in te stessa, nel tuo spirito, tutte le risposte che cerchi." Questo te lo ho sentito dire tante volte, forse tutte le notti, prima di lasciarmi; ma solo oggi mi sono resa conto di non averlo mai compreso. Stanotte, quando dovevi arrivare e non sei arrivata. Quando dovevi intervenire, perché il male nel mio sogno stava prendendo il sopravvento, e non lo hai fatto. Ho aspettato il tuo arrivo più che ogni altra volta, invano. Lo ho sperato più di quanto sia umanamente possibile. Mi stavo per svegliare, sconfitta, angosciata a tal punto da preferire un brusco risveglio. Ad un tratto ho chiuso i miei occhi per non vedere l'angoscia che mi circondava, e ho intravisto qualcosa dentro di me. Concentrandomi, e miracolosamente senza sforzo, sono riuscita a vedere la mia anima, il mio spirito. Quasi non mi sono accorta di essere più leggera, leggera, e che lentamente mi sollevavo. Guardando sotto a volte rischiavo di cadere, ma poi richiudevo gli occhi e tornavo a guardarmi l'anima. Non volevo cadere, e così ho scoperto che anche la volontà basta per farmi volare. Ho visto tutto farsi più piccolo, i problemi diventare banali, ogni cosa prendere il suo posto e ho capito tutto. E' proprio come dicevi tu, mammina. Mi dispiace che tu non sia venuta, stanotte: volevo darti questa bella notizia. Ti aspetto un altro po'. Ma adesso il tuo arrivo non è più necessario. Domani so quello che devo fare. Ogni notte saprò come volare. E questo grazie a te, mammina, che stanotte non sei venuta; che mi hai insegnato a volare. Grazie, perché stanotte mi hai fatto nascere una seconda volta.
Da allora non ho più sognato la mia mamma.
I NUMERI GIUSTI
Mi imbattei in Michele per caso, una domenica mattina sotto casa nostra. Stavo attraversando la strada sulle strisce pedonali quando un'automobile di grossa cilindrata e apparentemente nuova iniziò a lampeggiarmi.
"Che vuole questo?", pensai. "E' proprio vero che più sono ricchi e più sono egoisti, e spesso anche maleducati." Dalle luci infatti era passato al clacson, suonato con insistenza; ma poi mi accorsi che stava cercando di attirare la mia attenzione anche con ampi gesti delle braccia.
Non conoscevo nessuno con un'automobile simile - voglio dire di quella categoria. Mi sforzai comunque di capire chi si stesse sbracciando in quel modo, che interpretavo comunque amichevole. Non fu facile attraverso il vetro scuro. Mi parve di riconoscere Michele. "Probabilmente mi sbaglio: non è lui", pensai tra me; ma ricambiai il saluto e proseguii, credendo che tutto sarebbe finito lì. In effetti smise di suonare e di agitarsi, ma poco più avanti parcheggiò, scese dalla macchina e, dopo averla chiusa ed allarmata col telecomando, mi venne incontro.
"Ciao, Filippo: come stai? E' tanto che non ci vediamo. Perché non vieni con me al bar che ti offro qualcosa?"
"Io veramente … tra mezz'ora devo passare a prendere la mia ragazza. Non ho molto tempo."
"Ci tengo davvero: permettimi di insistere. Dai, su, vieni: cinque minuti soltanto."
In effetti la mia titubanza nell'accettare l'invito non era dovuta al mio impegno, più che altro una scusa di cui potermi servire in qualunque momento. Il fatto era che Michele lo conoscevo poco, e questa sua strana, insolita confidenza mi insospettiva. Ci era capitato qualche volta di giocare a calcetto con lo stesso gruppo di amici, tutto qui. Sapevo che abitavamo nello stesso palazzo e quasi niente altro, se non che lui, quando io avevo in vista il traguardo della laurea, era già da anni impegnato nella difficile impresa di trovare una occupazione stabile e decente. Per cui, adesso, vederlo con quel macchinone mi faceva un certo effetto. Forse, pensai, voleva festeggiare il suo nuovo lavoro.
"Ho visto che ti sei fatto la macchina nuova", buttai lì.
"Hai notato, vero? Questo già sarebbe un buon motivo per offrirti da bere." Nel frattempo avevo implicitamente accettato il suo invito e lo avevo seguito nel bar di Giulio, dove prendemmo posto su un minuscolo tavolino.
“Un’altra giornata fortunata, vero Michele?”, gli chiese il cameriere arrivato per l'ordinazione. Lo disse con un tono che faceva pensare ad una scena già vista più volte ultimamente.
“Già. Un altro giorno: ormai potrei dire che è il periodo ad essere fortunato.”
Ordinammo due cappuccini.